Tommaso Sacchi, nuovo assessore alla Cultura del Comune, come è stata la sua prima Prima alla Scala?
«È stata molto emozionante, ho deciso di passarla con mia nonna Mariangela che ha 92 anni. Gliel'ho proposto facendole una sorpresa, sapevo che era il suo desiderio fin da ragazzina. È stata una Prima così emozionante perché arriva dopo un anno di stop, un anno molto difficile. Ed è stata davvero la Prima della rinascita, di ripartenza della vita della città, ma anche dei teatri: non dimentichiamo che sono stati i primi luoghi di socialità a chiudere e gli ultimi a riaprire. Per Milano è stato un po' il primo evento internazionale che ha raccontato la città nel mondo».
Il sindaco Sala ha ricordato il Salone del Mobile a settembre come simbolo di ripartenza.
«Quello è stato un momento importante dell'industria e della creatività, la Prima fa il paio con il Salone come momento internazionale in cui Milano si racconta ed esce da un periodo di assenza che ha riguardato anche le scene dello spettacolo dal vivo. Completava un po' quell'idea di rinascita. Vedendo le scene che si muovevano in modo così vertiginoso, pensavo a tutti i macchinisti, gli operatori dello spettacolo che sono stati fermi per tantissimo tempo e che invece sono figure fondamentali nel far vivere quello che ieri abbiamo visto sul palco. Non dobbiamo dimenticarcelo».
Venendo alla regia firmata da Davide Livermore, come l'ha trovata?
«Sono felice che la Scala osi nell'apertura della stagione, è bello che si possa godere della regia di un artista che aggiunge qualcosa al dibattito contemporaneo e alla storia contemporanea dello spettacolo. Aggiungere vuol dire rischiare e fare qualcosa di netto che non esisteva prima. Dopodiché l'esecuzione è stata perfetta, non ho che da applaudire. Non c'è mai stata una caduta di stile, anche dove la regia ha dimostrato una sua presenza così corposa, ci ha fatto capire che dietro c'era un pensiero profondo. Quindi non mi sento di dire che la Scala sbagli quando chiama registi contemporanei a sperimentare e a cambiare un'idea di opera. Credo che sia stata una grande dimostrazione di autorevolezza».
In molti l'hanno criticata.
«Sono felice che la Scala sia in grado di creare un dibattito, poi l'arte contemporanea divide. Io l'ho vissuta sapendo che sarebbe stata una delle interpretazioni possibili del Macbeth».
Lei era nel board della Fondazione Teatro del Maggio fiorentino ed è stato chiamato a Milano, l'ex Sovrintendente della Scala Alexander Pereira è andato al Maggio fiorentino. Quando si è insediato ha annunciato una collaborazione tra Milano e Firenze sul piano culturale. Sarà la musica a legare le due città?
«Sono qui solo da un mese e mezzo, posso dire però che conto moltissimo su questa condivisione di visioni tra sindaci. Sicuramente si potranno fare delle cose sulla musica lirica e sinfonica, così come credo che ci siano tanti binomi che possono essere approfonditi, doppi registri comuni tra Milano e Firenze, uno su tutti quello della moda».
La Prima ha registrato un ottimo incasso e la Prima diffusa è stata molto partecipata, la Scala sempre di più sta cercando di allargare il suo pubblico. Ha in mente qualche idea per portare sempre di più la musica lirica alla città?
«Registrando i dati di accesso ai 34 luoghi della Prima diffusa e vedendo l'occupazione completa dei 10mila posti che abbiamo messo a disposizione, mi è venuto in mente un nodo del mio mandato, ovvero lavorare sulla periferia urbana. E come sia importante collaborare con le grandi istituzioni in un'ottica di periferia. Voglio istituire un laboratorio per la cintura urbana che coinvolga anche le grandi istituzioni per portarle a ragionare su come si può creare un'offerta culturale diffusa e di stimolo, come già è nelle corde della Scala di oggi, per sviluppare progetti per i quartieri».
Ieri c'erano anche cantanti pop, Manuel Agnelli evidenziava la necessità di lavorare sui club e i locali in periferia. A Milano i residenti hanno fatto chiudere locali storici come le Scimmie, in nome del diritto al riposo. Che ruolo avrà la musica nel suo assessorato?
«Quando una figura come Manuel parla di questi temi, lo fa con il cuore e con cognizione di causa. È un artista di fama che si è preso delle responsabilità, ha fatto delle battaglie per il mondo della cultura, ha aperto un locale Germi, dove si presentano libri, dischi, si suona. Ascolto quello che Agnelli dice parlando di un settore che sta soffrendo ancora molto. Il primo incontro che ho fatto da assessore è stato proprio con i titolari dei luoghi di musica dal vivo per dare un segnale. Milano, forte di esperienze e contesti importanti come Piano City e la Music week, può lavorare sul reticolo dei locali, anche perché gli artisti del nostro Paese sono partiti tutti dai club».
Qual è la scaletta di priorità per il mandato?
«Credo che Milano debba lavorare sulle grandi istituzioni della cultura e sulle infrastrutture, coma la Cittadella della Scala al Rubattino. Dall'altro penso che debba essere strutturato un lavoro serio sulla cultura indipendente, sul mondo del terzo settore. Così il progetto di cultura diffusa potrà contare su questa rete di cultura indipendente che deve tornare però ad avere una grande autorevolezza».
Il Covid sembra non mollare la presa su Milano, ha pensato di potenziare il ruolo dei festival, anche in chiave pandemia, per restituire ai milanesi l'abitudine a frequentare i luoghi della cultura?
«Credo che Milano dal 1986, quando inizia a lavorare sul rapporto tra Salone e Fuori Salone, abbia raggiunto una capacità di convocare un'enormità di protagonisti della scena artistica e un pubblico variegato su temi molti specifici come Piano City o Book City.
Ora è giunto il momento, dopo decenni di stile monotipico, di fare tesoro di questa esperienza e di puntare sui festival che possono essere la chiave dove far cadere moltissime energie produttive. E che ci aiuteranno a uscire dalla crisi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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