«Nella vita anche a 80 anni arrivano le novità eh... Uno pensa che tutto finisca sui 40 e invece un corno». Sorride il cantautore Roberto Vecchioni che dal 10 febbraio terrà un corso all'Università Iulm sulla contemporaneità dell'antico. Si dice «felice di poter fare una cosa del genere» nella sua Milano, dove ha insegnato al liceo Beccaria per più di trent'anni e di ritrovare il rettore Gianni Canova che nel 2019 gli conferì una laurea ad honorem, nominandolo «Maestro del racconto» davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Insieme hanno elaborato «una stranezza», un indirizzo «completamente diverso» diviso in due parti, di cui una con la docente di Archeologia classica Stefania Mancuso.
Professor Vecchioni, chi studia comunicazione ha bisogno del passato?
«Il tempo fondamentale è il primo, i greci e i latini. Tutto il resto è stata una conseguenza. Shakespeare ha copiato tutto dai greci, come Cervantes con i suoi romanzi. Questa storicità bisogna rivederla, non c'è un baratro tra noi e l'antico che è un fiume che scorre ancora. Ci vuole una cultura di base sotto la sovrastruttura e questo si tenta di fare alla Iulm».
In che modo?
«Dal Mediterraneo al linguaggio, dalla poesia alla nascita del mito che è una verità intensa nascosta dentro di noi. Poi il teatro, il rapporto tra città e democrazia, l'ozio e il negozio, ossia come si pensa e come si agisce. E, naturalmente, la musica come eredità di sentimenti. Questa parte devo farla per forza».
Ma Milano non guarda più verso il futuro?
«No, anzi: è la città che imita di più quello che viene dal passato e conosce la storia perfettamente. Ne ha avuta tanta, da Manzoni alla dominazione spagnola fino a quella degli austriaci. Milano è uscita da queste strettoie e ora è un centro veramente italiano dove è arrivato chi ha voluto guardare avanti».
Si riconosce in chi la definisce un «testimonial dell'antico»?
«Sono orgoglioso di questo ruolo. Nelle disgrazie della vita, spirituali e fisiche, ho sempre avuto questo faro della cultura, sapevo che quello mi avrebbe fatto passare tutto. Gli antichi avevano una chiarezza di pensiero straordinaria, oggi invece c'è una gran confusione: uno che parla sull'altro. Al tempo i maestri si ascoltavano».
Il momento storico che più le ricorda quello attuale?
«Il 1600 mi pare confuso come il presente. C'erano gozzoviglie tra Stati, momenti culturali che nascevano e morivano e venne fuori il Barocco, l'esaltazione della ricchezza e tante cose stranissime. Poi si rimediò con l'Illuminismo. Io che amo la classicità, sono invece legato al V secolo a.c., i tempi di Pericle».
Però in «Luci a San Siro» diceva di rivolere la sua Seicento e i 20 anni. È ancora così?
«Mi ricordo ancora la targa di quella Seicento, era scomodissima
anche se era bellissimo farci l'amore. Certo che vorrei tornare ad avere vent' anni. Un po' come la gatta di Gino Paoli, no? Una volta avevo solo una soffitta e una gatta, adesso sono anche ricco, ma non me ne frega niente».
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