Gianfelice Facchetti: "Ci spero ancora papà non mollava mai"

L'attore: "Sarò allo stadio ma, se vincono loro, gli dirò bravi senza recriminazioni"

Gianfelice Facchetti: "Ci spero ancora papà non mollava mai"

«Se ci spero? Certo che ci spero, e perchè non dovrei, in fondo ci sono ancora in ballo tre punti e il pallone, come si suol dire, è rotondo...». Gianfelice Facchetti, valente attore, scrittore e regista, ma con un comprovato cognome nerazzurro, tiene bene a mente la lezione di papà Giacinto: mai mollare. Domani sarà a San Siro per sostenere l'ultimo assalto della tribù interista.

Ci va spesso allo stadio?

«No, anche perchè con il mio lavoro mi è difficile seguire tutte le partite, ma dovendo scegliere preferisco mille volte il Meazza alla tv».

Diciamo la verità, Facchetti, l'impresa è quasi disperata. Ha qualcosa da recriminare per come sta finendo la stagione?

«Non è nella mia indole avere rimpianti; del resto, dopo la lunga serie negativa di marzo, pochi tifosi potevano sperare in una vittoria a Torino contro la Juve. E invece. Certo, sconfitte come quella col Bologna fanno male, ma il calcio è così, esistono anche gli avversari, che diamine. Comunque questa squadra non è mai doma, lo ha dimostrato in finale di Coppa Italia e anche domenica scorsa a Cagliari; per il funerale, insomma, aspetterei...».

Se i rossoneri vinceranno, sarà uno smacco?

«Ma no, mi congratulerò con i miei amici milanisti. D'altronde è nella storia dei due club il fatto che, quando una vince, è di sprone all'altra che magari vince l'anno dopo. Quindi potrei quasi prenderla come un buon auspicio...».

Inzaghi le piace o preferiva Conte?

«Inzaghi è stato bravo a calarsi in una realtà difficile, con l'uscita di giocatori chiave come Lukaku, Hakimi ed Eriksen, è riuscito a liberare energie nuove in questa squadra. Quello che mi fa piacere è la costanza di un nuovo ciclo che ci ha regalato uno scudetto, gli Ottavi di Champion's, una supercoppa e una coppa Italia. L'Inter, con questa gestione, è tornata finalmente stabile ai vertici».

Che ricordo ha di suo padre, è riuscito a vederlo giocare?

«Avevo solo quattro anni quando ha smesso; può darsi che mi abbiano portato allo stadio ma non lo ricordo. Però lo ricordo bene alla Pinetina quando si allenava, mi sentivo protetto da un mondo di giganti buoni».

Quello era anche un altro calcio, diciamo più umano. É d'accordo?

«Eccome; basti pensare che mio padre, come tutti i suoi compagni di allora, era per contratto tenuto a partecipare ad eventi e cene degli Inter Club. Oggi tra protagonisti e pubblico si è creata una distanza abissale. Il grande giornalista Giovanni Arpino è stato il mio padrino di Battesimo. Ora questi rapporti di amicizia sono impensabili. però la liturgia della domenica è rimasta la stessa».

Lei fa tutt'altro, lavora nel teatro. Il mondo del calcio non l'ha mai attirata?

«Mi attira sì, ma solo come materia per i miei spettacoli...».

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