"La Grande Brera ci sarà. Per ora vi consegno il museo in doppiopetto"

Il direttore presenta il restyling delle sale napoleoniche, le ultime due pronte a giugno

"La Grande Brera ci sarà. Per ora vi consegno il museo in doppiopetto"

L’ottimismo è un valore fondamentale per chi affronta una sfida titanica e l’anglosassone James Bradburne, direttore da poco più di due anni della Pinacoteca di Brera, ne ha da vendere. Al punto da essere riuscito nell’impresa, malgrado le catene elefantiache della burocrazia italiana, di aver messo un tassello importante al progetto che vorrebbe trasformare il museo milanese costruito dal Piermarini nella «Grande Brera». Solo un tassello, sia ben chiaro, ma in un sistema pubblico gattopardesco dove «si cambia tutto perchè nulla cambi», vale tanto oro quanto pesa. Proprio ieri Bradburne ha presentato il riallestimento delle sale napoleoniche, cuore rinascimentale della collezione, che riaprono al pubblico in un percorso reso elegante e accessibile da soluzioni cromatiche, nuove didascalie (anche d’autore) in alcuni casi intelligentemente collocate dietro le panche firmate dal designer Cappellini, e un miglior posizionamento delle opere a sottolineare l’iter cronologico. La «chicca», anche stavolta, è la valorizzazione di un capolavoro, in questo caso Venere e Amore di Camillo Boccaccino, sapientemente messo a confronto con la tavola Venere e Amore di Giulio Cesare Procaccini.

Mancano solo due sale e il restyling delle 38 stanze della Pinacoteca sarà completato. Un bel risultato in due anni e anche il numero dei visitatori risulta in aumento di quasi il sei per cento...

«Entro giugno tutte le sale saranno riallestite ma, più dei numeri, mi piace vedere che il pubblico dei milanesi (e non solo quello dei turisti) si sta riappropriando della Pinacoteca».

Molta strada resta da fare affinchè Brera raggiunga gli standard di un museo internazionale; l’autonomia gestionale di cui lei dovrebbe godere le permetterà di raggiungere l’obbiettivo?

«Ci conto, anche se l’autonomia speciale sancita dalla riforma sui grandi musei italiani è reale soltanto in parte. Abbiamo l’autonomia economica di trovare risorse economiche e di investire, anche se dobbiamo sempre sottostare all’approvazione del bilancio da Roma. Sulla gestione delle risorse umane, invece, continuiamo ad avere le mani legate».

Le sorti della Grande Brera dipendono anche da quelle di Palazzo Citterio, che dovrà ospitare la collezione del Novecento finalmente “sfrattata“ dalle sale napoleoniche, ma il cantiere è in ritardo di un anno.

«Però siamo in dirittura d’arrivo, il 22 novembre inaugureremo la mostraBrera ascolta, nello spazio Stirling, un’esposizione interattiva con i visitatori in vista del trasferimento della collezione nel nuovo edificio».

Ma lei alle mostre non era contrario?

«Non lo sono a prescindere. Sono contrario alle mostre che cannibalizzano le collezioni dei musei e servono spesso solo a nascondere le magagne. In questo caso però si tratta di un progetto che è propedeutico alla collezione di Brera».

La sensazione è che i problemi di spazi rimarranno, finchè ci sarà l’asfittica convivenza con l’Accademia. Già l’ingresso un po’ caotico del cortile non è un invito degno di un museo internazionale...

«Questo edificio, dall’età napoleonica, nasce per ospitare sette istituzioni e la presenza dell’Accademia resta imprescindibile. Non nascondo che esistano dei problemi, a cominciare dalle stesse aule, inadeguate e insufficienti per ospitare 4.000 studenti. Per quanto riguarda il cortile, ora sono presenti due guardiani per mantenere il decoro e anche il divieto a fumare».

Con tutto il rispetto per lo statuto napoleonico, i musei internazionali hanno bagni decenti, uno o due ristoranti, laboratori per i bambini, una vera caffetteria, spazi multimediali. Non li meriterebbe anche la nostra Pinacoteca?

«A Palazzo Citterio apriremo laboratori didattici per le famiglie, ma ammetto che al Museo servirebbero almeno le sei aule dell’Accademia che danno sul cortile.

Se si liberassero riusciremmo a dare ai visitatori gli standard necessari. È un mio sogno ma anche una speranza: con l’ex presidente Galateri eravamo quasi alla firma, ora conto molto sul buon senso di Livia Pomodoro».

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