Merisi torna a Palazzo Reale. Tutto il mito in 20 capolavori

Già 60mila prenotazioni per la mostra che apre oggi Le radiografie per scoprire i segreti della sua pittura

Merisi torna a Palazzo Reale. Tutto il mito in 20 capolavori

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio torna a Palazzo Reale. Lo fa da oggi, giorno del suo compleanno, e nella sua città natale, Milano, con venti quadri-capolavoro per la prima volta riuniti insieme fino al 28 gennaio. Si comincia con la cruenta «Giuditta che taglia la testa a Oloferne», da Palazzo Barberini di Roma, e si chiude con Salomé con la testa del Battista dalla Tate di Londra. Due decollazioni, due quadri di una violenza abbagliante. In mezzo, un percorso scandito in tre sezioni (opere giovanili, opere della maturità, opere realizzate dopo la fuga di Roma) con l'elegante, quasi sacrale allestimento dello studio Cerri e l'illuminazione di Barbara Balestreri cui è riuscita l'alchimia di mostrare le sfumature delle ombre e gli squarci di luce del Merisi. Dopo la mostra del Longhi (anno 1951: da lì comincia il «mito Caravaggio») e la mostra del 2005 sulla lezione del Merisi ai contemporanei, Milano - città della Cena in Emmaus a Brera e della Canestra di frutta all'Ambrosiana - diventa il luogo in cui mostrare i risultati di un complesso lavoro di ricerca svolto tra il 2009 e il 2012 sulle opere autografe conservate nelle chiese, nei musei e nei palazzi romani.

Rossella Vodret ebbe il compito di dirigere le indagini diagnostiche svolte con le più moderne tecnologie a disposizione e, oggi, spetta a lei la cura di Dentro Caravaggio, mostra prodotta dal Comune con MondoMostreSkira (3.5 milioni di euro investiti, ha messo in chiaro il presidente del gruppo Massimo Vitta Zelman, con Gruppo Bracco ed Intesa San Paolo a sostenere l'operazione). L'attesa è grande (60mila le prenotazioni all'annuncio, ampliati gli orari di visita fino alle 22.30 giovedì, venerdì e sabato) e ciò che si vede a Palazzo Reale è davvero un Caravaggio straordinario. Come altrimenti definire il «Riposo durante la Fuga in Egitto» dalla Galleria Doria Pamphilj, con quell'angelo di spalle che spacca il quadro in due, o il «Sacrificio di Isacco» degli Uffizi, o la Madonna dei Pellegrini, quella con i piedi sporchi dei penitenti in prima fila, che se ne sta nella cappella Cavalletti della Basilica di Sant'Agostino di Roma? E poi ancora il Martirio di Sant'Orsola di Napoli o la Flagellazione di Cristo da Capodimonte? Tuttavia, per entrare «dentro» la mostra bisogna andare «dietro», ovvero verso i pannelli retrostanti ogni opera che con rara chiarezza (bravi quelli della Bicocca e del Cnr che vi hanno lavorato) spiegano attraverso video i risultati delle indagini scientifiche. Unendo queste informazioni a quelle dei documenti d'epoca presenti in sala, scopriamo dettagli nuovi. Sull'uomo-Caravaggio, innanzitutto: «grassottello», con le ciglia scure e folte, povero in canna, lavorava alacremente, con punte di un quadro ogni due settimane, perché il resto del tempo lo passava in osteria. Personaggio inquieto e affascinante, parlava con accento lombardo e non si curava di pagar l'affitto: la proprietaria di una delle sue case romane, ad esempio, gli pignorò tutto e dall'atto noi sappiamo, tanto per dire, che in casa teneva due spade e tre pugnali. Gli studi hanno dimostrato che arrivò a Roma solo nel 1596, non nel 1592: che successe in quel lasso di tempo? Un documento recentemente scovato dice che fu costretto a scappare da Milano per un omicidio (un altro!) e l'auspicio è che il centro di documentazione sul «Caravaggio milanese» prenda presto il via. La diagnostica ci aiuta poi ha capire meglio il Caravaggio-pittore: nelle opere giovanili sono apparsi disegni sfatando il mito del Merisi pittore istintuale. Usava invece anche il retro del pennello per fare incisioni che servivano a delimitare gli spazi sulla tela, insieme a pennellate bianche. La diagnostica ha scovato anche tutti i suoi ripensamenti e rifacimenti.

Nel 1600, quando per la prima volta deve dipingere la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, primo incarico pubblico e su spazi così ampli, compie la rivoluzione: la preparazione della tela da chiara diventa scura. Le pennellate di colore fanno uscire dall'ombra i volti e gli oggetti, il vuoto divora le figure. E per questi suoi straordinari giochi di ombre e di luci ci metteremo tutti in coda.

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