Cammina tra le sue opere guardandole con amore. Per ognuna ha qualcosa da raccontare: frammenti di arte, di vita, di professione e di passione che si uniscono in un'unica traccia. È lui ad aver testimoniato attraverso l'obiettivo quarant'anni della moda: da Giorgio Armani a Gianni Versace, ai volti iconici dello stile moderno, tutti hanno voluto essere soggetti dei suoi istanti fotografici. E fino al 30 giugno sono a palazzo morando nella mostra Bob Krieger imagine. Living through fashion and music: '60, '70, '80, '90. «Il contatto con il pubblico mi diverte molto, posso raccontare fatti che danno all'immagine maggior valore».
Maestro Krieger, qual è la formula per estrarre l'anima in una foto?
«Non sopraffare lo stilista. Io l'ho sempre rispettato, cercando semmai di far risaltare ciò che immaginava. La moda, gli abiti e gli accessori, erano tutti del medesimo stilista, oggi invece si mischiano diverse firme nella stessa fotografia: le redattrici si sono sostituite allo stilista componendo una borsa di Gucci con una collana di Bulgari. Forse più moderno, prima era un'imposizione. Quando Saint Laurent ha allungato i cappotti sono impazziti tutti, anche mia madre. Erano diktat, ora c'è più libertà».
Quando ritrae qualcuno, cosa vede in quegli occhi?
«Amo ritrarre per conoscere la persona che ho di fronte, con la sua importanza nelle lettere, la musica, la politica o la società. Mi raccontano molto di loro, anche cose che non vorrei sapere. La sessione fotografica diventa un momento psicanalitico e allora conosci una persona veramente, al di là di come appare».
Chi le è rimasto maggiormente impresso?
«Chi non sono riuscito a ritrarre, come Enrico Cuccia. Tentai in tutti i modi, non successe mai. Però ho una sua lettera che per me vale più di un ritratto e nella quale si scusa, declinando l'invito. Di solito sono gli altri che mi rincorrono».
E lei si lascia acchiappare?
«Dipende, di solito amo il prossimo. Mi diverte pure, cerco sempre il lato positivo che è quello che ci fa vivere».
E Milano, la sua città?
«Ho vissuto gli anni d'oro, chiamiamoli così. Oggi è ovviamente cambiata, ma la vedo rinata sotto diversi punti di vista. Quello architettonico con piazza Gae Aulenti, una meraviglia. Intendiamoci, non è Milano, ma pone la città su di un piano internazionale. È un riferimento per il mondo intero. Un richiamo».
Rimpiange qualcosa della città come era?
«Normalmente non rimpiango nulla, ho sentito troppo spesso i miei genitori dire ai nostri tempi era molto meglio. Non è vero, ogni tempo ha la sua bellezza e il tempo è clemente: dimentica i lati negativi e assorbe quelli positivi».
Il suo rapporto con il cibo?
«Odio e amore, come tutti. Lotto quotidianamente per attenuare il mio amore, ma mangiare mi piace proprio. E poi è un momento di condivisione, si chiacchiera e si mangia. Voglio mantenere la linea, credo in quel detto secondo cui più è piccolo il giro vita più sarà lunga la vita».
È goloso?
«Golosissimo, cerco di trattenermi poi subentrano diavoletti come il Marron Glacè e allora non puoi mangiarne uno, ne mangi venti, sennò è inutile».
Cibo e fotografia?
«Fotografo chef: adoro Carlo Cracco, lo considero un amico. È abile, il suo ristorante è straordinario come lo è la sua cantina. E poi Giancarlo Morelli, bravissimo, ero molto legato a Gualtiero Marchesi e trovo Antonino Cannavacciuolo simpatico».
Luoghi milanesi del gusto?
«Mi piace andare alla Latteria e per una pizza meravigliosa scelgo Le Specialità».
Chi è la donna icona?
«Charlotte Rampling: venne a Milano per una campagna pubblicitaria, non era più la ragazza de Il portiere di notte, ma fu straordinaria davanti alla macchina fotografica. Poi Susanna Agnelli, l'ho adorata e lei faceva per me cose che non farei per i miei figli mi diceva. Penso di essere stato l'ultimo a parlarle al telefono prima che ci lasciasse e le dissi: la chiamo solo per abbracciarla».
L'amicizia con Armani?
«Forte e discreta. Lui è un uomo discreto e il rapporto con lui deve essere tale. Io rispetto questo, come la sua serietà ed è forse la ragion per cui siamo amici da 50 anni. Gli sono molto affezionato, lo stimo molto per ciò che ha fatto per l'Italia, per la moda, per il mondo intero».
La sua infanzia?
«Io sono un figlio della guerra, nato durante i bombardamenti: non c'era da mangiare. Non è stato semplice, anche per la particolare origine della mia famiglia. Mia madre italiana e mio padre tedesco, nato a Berlino, ultimo rappresentate del Sacro Romano Impero. Si sono conosciuti su di una nave incrociatore nel porto di Alessandria d'Egitto, dominata dagli Inglesi. Sono nato e cresciuto lì, dove eravamo considerati nemici e abbiamo dovuto abbandonare le nostre origini e diventare apolidi: una cosa tremenda che può sembrare romantica, invece è un dramma. L'Italia mi ha accolto a braccia aperte e sono felicissimo di considerarmi italiano. Quando sono all'estero ho bisogno di tornare qui, però un pezzettino di cuore l'ho lascito in Egitto»
Qual è il profumo della sua infanzia?
«Il ciclamino. Il suo aroma mi crea turbamento, mi ricorda così tanto i giardini di Alessandria d'Egitto».
Il suo luogo del cuore?
«Cambiano con l'età. Per molti anni è stato Capri. Poi Forte dei Marmi dove è bello usare la bicicletta. Un'amica mi invitava sempre a Ischia sulla sua barca. Ma stavamo in barca, non a Ischia... Quest'anno avrei voglia di scoprire le isole giapponesi, nonostante i miei ottanta e rotti anni».
Cos'è l'amore?
«L'amore vuole il mistero».
La qualità che apprezza maggiormente?
«La sincerità, non comprendo proprio chi vuole apparire ciò che non è».
C'è un momento che vorrebbe rivivere?
«Certo, ciò che non ho ancora vissuto».
È felice?
«Molto più di quando ero giovane. Per questa mostra ho realizzato un libro, chiedendo di scrivere agli amici del cuore».
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