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«MILANO IN AUTOMOBILE»

Sì, quasi certamente l’industria automobilistica milanese e lombarda è stata un’occasione perduta. Un destino irreversibile, a giudicare dalle condizioni di un settore che, in una terra particolarmente vocata e votata alla meccanica, oggi non ha conservato praticamente nulla. Un deserto, insomma. E pensare che - al contrario - il XX secolo, conosciuto universalmente anche come «secolo dell’automobile», è stato marcato dalla costante e massiccia presenza dell’industria automobilistica lombarda in Italia e nel mondo. Certo, marchi da leggenda come Alfa Romeo e Isotta Fraschini, ma anche straordinarie storie di successi commerciali e, spesso, sportivi, come OM, Bianchi, Prinetti&Stucchi o, in epoca più recente, Innocenti, Iso, Volpini, Wainer, Zagato, sono conosciuti da un pubblico ancora relativamente ampio, che tuttavia si va assottigliando lungo l’esile filo della memoria. Ma tanti altri «brand», come li chiamerebbero oggi i professionisti del marketing, hanno costellato dalla fine dell’800 agli anni Settanta il firmamento dell’automobilismo nazionale. Spesso si trattava solo di aziende grandi poco più di un garage, nate dall’ingegno indomito e indomabile di uomini governati solo dalla passione per i motori e, insieme, per le corse. Altre volte di vere e proprie iniziative industriali. Questo affresco di storia tout court, che dalla meccanica fine passa attraverso il design, con ampie incursioni nella vita sociale a tutti i livelli, è stato magistralmente ricomposto nel libro Milano in automobile - L’industria automobilistica a Milano e in Lombardia dalle origini al Duemila (Edizioni Selecta, 146 pagine, 35 euro), scritto a quattro mani da Francesco Ogliari e dal figlio Giacomo, prima della prematura scomparsa del padre, lo scorso marzo. Francesco Ogliari, milanese, classe 1931, collaboratore del Giornale, uno dei massimi esperti mondiali di trasporti e fondatore, nel 1954, di uno strabiliante museo dedicato ai mezzi di trasporto a Ranco, sulla sponda lombarda del lago Maggiore, era uomo geniale a tutto tondo. Proprio come i «tipi umani» raccontati con precisione ed essenzialità cronachistica, attraverso le loro «creature» a quattro ruote, nel volume che porta - dicevamo - anche la firma del figlio Giacomo, classe 1964, uno che l’automobile ce l’ha nel sangue, visti i pregevoli risultati conseguiti nelle competizioni rallystiche. Un’opera che ha dalla sua anche una pregevole grafica, nella sua semplicità, ma che garantisce ai lettori - non soltanto appassionati della materia - un cospicuo «valore aggiunto» grazie a un doppio assist davvero speciale. La raccolta fotografica, innanzitutto, con una selezione di immagini rigorosamente in bianco e nero davvero completa ed esaustiva, che affonda l’obiettivo della memoria in un passato comunque non facile da ricostruire nella necessaria consequenzialità. E la puntuale ricostruzione enciclopedica, in ordine alfabetico, dei marchi e della loro storia, attraverso notizie essenziali quanto precise. Un lavoro, quest’ultimo, che va a riempire un vuoto pressoché assoluto nella bibliografia storica dell’industria automobilistica e sportiva nazionale. Così, anche gli addetti ai lavori rischiano di fare delle scoperte davvero incredibili. Chi direbbe oggi, ad esempio, che dall’inizio del Novecento (o, meglio, dalla fine dell’Ottocento) fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1940, sono state bel 72 le aziende che in territorio lombardo si sono cimentate nella progettazione e costruzione di veicoli a quattro ruote, cui se ne sono aggiunti altri 28 nel dopoguerra? Come fanno rilevare gli autori, si tratta di marchi di aziende che hanno prodotto vetture complete, motori per autotrazione, o prototipi che - per vari motivi, spessissimo di ordine finanziario - non hanno potuto avere seguito commerciale, per essere piuttosto ripresi da altri imprenditori, anche all’estero.

E, naturalmente, nell’elenco compaiono i nominativi dei numerosissimi costruttori di vetture da corsa, prodotti in numero limitato di esemplari o, addirittura, in esemplari unici. Oggi, purtroppo, nel capoluogo lombardo non esiste più traccia di questo glorioso passato.

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