La mostra di Bansky al Mudec Il writer: "Io non l'autorizzo"

A novembre l'ex Ansaldo esporrà opere dell'artista fantasma inglese. Ma la sua agenzia si dissocia

La mostra di Bansky al Mudec Il writer: "Io non l'autorizzo"

Quando si parla di Banksy, il mistero fa parte del gioco. Per scovare l'identità dello street-artist più celebre del pianeta ci sono state inchieste giornalistiche (sul Daily Mail, due anni fa), si sono scomodati studiosi universitari (alla Queen Mary di Londra), si sono riconcorse rivelazioni e smentite: il cerchio si è stretto attorno a Robert Del Naja, musicista dei Massive Attack (che non ha mai commentato) e poi con un nulla di fatto. Banksy è Banksy, e dobbiamo prenderlo per «l'artista fantasma» che è. La definizione è di Gianni Mercurio, raffinato studioso di street art, che lo conosce bene e che curerà la mostra The art of Banksy. A Visual Protest (dal 21 novembre al 14 aprile 2019) al Mudec Museo delle Culture di Milano.

Un bel colpo: è la prima volta che un museo pubblico ospita una personale del writer inglese così amato dal pubblico. C'è stato un solo precedente: nel 2009, al Bristol Museum (città natale di Bansky? chi lo sa) l'artista stesso ha organizzato una personale. Poi ha preferito esprimersi in luoghi a lui più consoni: i muri urbani (celeberrimi i murales in Palestina, a Londra, gli ultimi sarcastici lavori in Francia). Che dirà della mostra al Mudec, che raccoglie settanta opere tra dipinti, sculture, stampe e poi oggetti, fotografie e video? «Lo abbiamo contattato dice Mercurio e lui ci ha risposto che non dà l'autorizzazione a nessuna mostra che non sia curata da lui stesso». Mostra non autorizzata, dunque. È la prassi. Il writer che predica il «no copyright», che usa Instagram per diffondere le sue opere, che occupa illegalmente spazi pubblici per la sua protesta visiva, vuole il controllo totale della sua produzione. «Non mi piace far pagare il biglietto alla gente per vedere la mia arte», ha scritto sul suo account Instagram (@Banksy). Aggiungendo: «Ma non sono certo io quello che può lamentarsi se qualcuno pubblica qualcosa senza chiedere il permesso». Il no al Mudec non è nel primo né l'ultimo: Mercurio ci racconta che persino Damien Hirst ha chiesto la collaborazione del writer per una mostra in programma nella sua Newport Street Gallery ricevendo un secco diniego.

Si può «musealizzare» Bansky? «Difficile lavorare con un fantasma, ma va detto che la sua agenzia, che certifica l'autenticità di disegni e sculture, è scrupolosa. Ci siamo mossi scegliendo solo pezzi comprovati. Di materiale spacciato per suo, sul mercato dell'arte, ce n'è tanto», racconta Mercurio. Complice l'aiuto avuto da una giovane coppia francese che colleziona le opere di Banksy dalla fine degli anni Novanta, con The Art of Bansky il curatore scommette su un progetto inedito: raccontare il fenomeno Bansky partendo dai movimenti artistici cui s'ispira.

Ovvero il Situazionismo, l'Atelier Populaire del maggio francese, i graffitisti di New York degli anni 70 e 80, il movimento post-punk. Banksy, insomma, non arriva dal nulla.

La sua «psico-geografia» che sceglie con cura i muri da occupare con i murales, la sua street art realizzata a stencil, la critica politica al sistema dominante, la presenza sui social e la volontà dell'anonimato sono il cortocircuito perfetto per creare il più famoso artista contemporaneo vivente.

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