«Dopo la fine del primo lockdown sono sbarcate qui gang di ragazzi e ragazzini. Si muovono in blocco, fanno quello che vogliono. Aggrediscono anche solo per divertirsi, prendono la gente a schiaffi senza motivo, oppure circondano e scippano. Arrivano in zona già belli carichi non so se di alcol o di qualcos'altro e non li ferma nessuno».
Riccardo «Ricki» Giuliani, del «Plat du Jour» di viale Gorizia, è uno dei veterani della notte milanese. Sta nel cuore della Darsena, il vecchio quartiere popolare che in questi decenni ha visto ogni sorta di irruzione e metamorfosi, dalla violenza politica all'eroina fino all'edonismo dei barconi e dei fintopub. Ma nè Ricki nè i suoi colleghi si erano mai immaginati di vivere una stagione come questa che si è abbattuta sulle notti milanesi, dai quartieri della movida fino ai salotti buoni del centro. Una stagione di violenza idiota e fuori controllo, un nuovo modo di vivere la notte dove la rissa, l'agguato, le coltellate sono sdoganate, derubricate a inciampi quasi inevitabili del divertimento giovanile. Dove passare dallo sguardo insolente ai calci in faccia - dieci contro uno, raccontano gli ormai innumerevoli filmati - è dato per scontato. Tanto a spiegare tutto, se non a giustificare, c'è il Covid: i ragazzi sono stati tappati in casa due anni, se adesso esplodono non c'è da stupirsi.
E invece no, non è quello o almeno non è solo quello. Il barista Ricki la notte del 28 gennaio, quasi all'ora di chiusura, ha servito l'ultimo giro a un gruppo di ragazzi: branco misto, italiani di cento o di due generazioni, come sempre più spesso accade. «Sembravano tranquilli». Mezz'ora dopo uno di loro era steso pochi metri più in là, a insanguinare il pavè con l'addome squarciato. Il ragazzo se la cava per un filo, chi è perchè lo abbia infilzato non lo sapremo mai.
É così da un lato all'altro della città. In via Petrella, in via Gola, in corso Como, in via Lecco, nelle tante altre strade dei locali di questa sbornia collettiva, gli abitanti ormai passano le sere del fine settimana con il telefono in mano, pronti a filmare l'ennesimo pestaggio e a mandarlo poi alle pagine che sul web raccontano la nuova Milano. E che si riempiono di immagini e racconti, piccole brutte storie che non approdano neanche nei mattinali di questura. «Ci sono state almeno otto risse davanti all'Hollywood, ragazzi a terra con le teste spaccate». «É arrivato uno sgabello in faccia a una tipa al Radetzky». «Siamo andati in direzione delle urla e abbiamo visto il kebabbaro del ristorante Sapori reali con la testa completamente aperta». Meno male che ci sono, i racconti e soprattutto i filmati. Altrimenti la narrazione secondo cui «va tutto bene» chissà quanto sarebbe andata avanti, prima che chi amministra e comanda in città prendesse atto che qualcosa non funziona.
Perché la cosa arrivasse nelle prime pagine, e facesse del «caso Milano» un caso nazionale, c'è voluta l'incredibile notte di San Silvestro, le violenze sessuali a catena intorno al Duomo, con la bande di ventenni alla caccia di ragazze da accerchiare, spogliare, umiliare, stuprare ficcandogli le mani dappertutto. Ma i segnali c'erano stati già dall'estate, basta andare a parlare con i ragazzi che lavorano al Mc Donald's di Porta Ticinese, farsi raccontare gli scontri a bottigliate tra bande rivali, con i carabinieri costretti a stare lontani e a intervenire a cose fatte, per non andarci di mezzo anche loro. Da allora è stato un crescendo, fino agli orrori di Capodanno e anche oltre, fino all'episodio più surreale di tutti, il vigile che in viale Coni Zugna trovandosi accerchiato prima spara in aria e poi si fa portare via la pistola. D'altronde c'è poco da stupirsi, i vecchi «ghisa» raccontano di una polizia locale ormai imbelle, non si fanno corsi di addestramento, persino la palestra dove i vigili potevano «pompare» un po' e tenersi in forma è chiusa da mesi per le beghe tra il Corpo e il suo vecchio capo Antonio Barbato. Così a girare di pattuglia sono cinquantenni con la pancia, ed è inevitabile che finisca come in Coni Zugna.
Dall'altra parte c'è di tutto.
Non solo emarginati, risacca sociale, disperati delle periferie di Torino o di Bollate per cui la costrizione da Covid forse qualcosa spiegherebbe: ma anche figli di papà, bambocci pompati dalla calisthenics che la quarantena l'han fatta con la colf. Gli uni e gli altri accomunati dalla sensazione che fare certe cose oggi, a Milano, si può.
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