«Quando conobbi i Clinton e rischiai di essere arrestata»

La direttrice racconta la sua vita tra un «mostruoso» lavoro nei settimanali, scrittura di libri e famiglia

Andrea Radic

Ha fondato e diretto i settimanali Chi e Diva e donna, la chiamano il Re Mida dell'editoria, ha lasciato la direzione di Gioia a quota 480mila copie. In molti hanno bussato alla porta in cerca di visibilità e lei, con grande eleganza, non è mai scesa a compromessi. Quando le offrirono di entrare in politica, rispose «mi spiace, non sono così ricca da potermi permettere una campagna elettorale». Silvana Giacobini è stata una delle pochissime giornaliste al mondo cui lo staff di Hillary Clinton, della quale ha scritto una biografia, non chiedeva quali domande avrebbe posto alla first lady, né voleva rivedere il testo prima della pubblicazione.

Direttore, come vi siete conosciute?

«La prima volta che la vidi con il marito Bill Clinton fu durante il grande evento della Niaff, la Fondazione che rappresenta gli italo americani a Washington. Una serata estenuante in grande abito da sera, nello stesso albergo dove Ronald Reagan era sfuggito ad un attentato. Alla fine della serata con il mio abitone da sera, vado a stringere la mano alla coppia presidenziale. Poi loro escono da una porta nascosta».

E poi?

«Ero stanca e provata dal jet lag ed ebbi la balzana idea di uscire dalla medesima porta, trovandomi nella sala di controllo della sicurezza, zeppa di uomini e armi».

Come ne uscì?

«Sono strusciata fuori senza fare rumore e non mi hanno neppure arrestata. Dopo quello, pensi se possono farmi paura gli editori...».

Lei ha vissuto la Milano della grande editoria, sono stati periodi entusiasmanti, come la vede oggi?

«Non è cambiata molto, è sempre stata accogliente e mi ci sono sempre trovata a mio agio, è in sintonia con il mio carattere razionale. Milano è ordinata, con le sue regole quotidiane, anche io mi alzo presto e sono attaccata a famiglia e lavoro. Qualche difetto lo abbiamo, certo, ma è la città del cuore».

Una grande passione.

«Ma non dimentico Roma, ci sono nata e cresciuta, la amo come tutte le creature da cui nasciamo o che mettiamo al mondo. E poi Venezia, una città magica e teatro dell'anima. Il mio ultimo libro è ambientato proprio qui e in ognuno degli altri c'è sempre un rimando a questa città. Forse in un'altra vita ci sono veramente nata».

Milano è capitale del food?

«Secondo me sì, la cultura del cibo è aumentata non solo nel nostro Paese ma in tutto il mondo e noi italiani non siamo arrivati secondi. L'Italia è famosa per la sua arte, quanto lo è per il suo cibo, espressione del gusto che a Milano è cresciuto. Dall'edonismo reganiano, oggi è la capitale del glamour».

I suoi luoghi milanesi?

«Amo passeggiare nel centro, ma in realtà, viaggiando spesso per lavoro, mi rifugio tra le mura domestiche per scrivere i miei libri e tre rubriche a settimana. La mia cifra esistenziale è la scrittura, mi porta via, mi mette al riparo dalle emozioni vere e mi regala quelle della fantasia. Non è esattamente una fuga, bensì un altrove».

Lei è stata una delle prime donne direttore di testata, come reagiva il mondo dell'editoria?

«Stavo sul pezzo tutti i giorni, lavorando in modo mostruoso, un esempio di donna acrobata: lavoro e famiglia. Ho sempre tutelato la condizione femminile con equilibrio e parità. Essere donna non toglie nulla, anzi. La nostra empatia aiuta. Ho sempre preso le distanze dalle polemiche di genere, sono le persone a essere differenti, non i generi».

Cosa deve avere un editore, per essere davvero tale?

«Darti la libertà di sbagliare, per la quale può anche cacciarti, ma quando fai numeri deve lasciarti fare. Altrimenti diventi qualcuno che fa il lavoro che vorrebbe fare lui. A quel punto... se lo faccia da solo. Mi sono trovata sempre bene. Rusconi, ad esempio, voleva vedere le copertine di Gioia, gliene portai una senza intenzione di cambiarla, non me lo chiese più. In Mondadori un ottimo staff e Urbano Cairo non si è mai inserito nel mio lavoro. Con Silvio Berlusconi benissimo, sempre cortese, mai invadente».

Lei è una donna diretta.

«Dico sempre le cose come stanno, anche in televisione. Mi sono sempre battuta perché i politici non cambino bandiera, li citerei per truffa».

Qual è il profumo della sua infanzia?

«Ho avuto l'amore dei miei genitori, una grande fortuna. Dovevo studiare sodo, ma dopo le vacanze erano bellissime. Viareggio, Riccione e la campagna calabrese di Soverato, a piedi scalzi e coltellino per tagliare la frutta dagli alberi. Radici profonde che lasciano grande amore. Quindi un profumo metaforico: quello della libertà».

A casa tavola o fornelli?

«Non sono brava, ma ciò che preparo piace. Mio marito ama la mia pasta e mia figlia le scaloppine al limone. Anche in cucina sono precisa, non assaggio, ma ho fiuto, non fumando ho un odorato da indiano pellerossa».

Un momento conviviale?

«La cena in famiglia, quotidianità e semplicità sono i migliori strumenti di condivisone».

Nei suoi libri quanto c'è di autobiografico?

«Come Pollicino, lascio traccia dei miei ragionamenti e pensieri. La Schiava bianca, il mio nuovo romanzo, ha un'importante sottostoria sul traffico di esseri umani: ragazze bianche, un fenomeno che anche l'Onu conosce. Scrivo di una vendetta senza limiti e mi sono chiesta se non fosse troppo essere così violenti. Ma, come scrisse Cicerone, ci deve sempre essere una misura anche nel vendicarsi e nel punire».

Come fa a creare i suoi personaggi?

«Prendono vita al di là del mio stesso raziocinio, sono autonomi con il loro carattere e agiscono seguendo i loro istinti. Io li racconto. Più si sviluppa il romanzo, più sono vivi e si fanno i fatti loro».

Sua figlia è una millenial, quale mondo vorrebbe lasciarle?

«Quello in cui crede anche lei: attenzione all'ambiente, una realtà

più pulita, cibo per tutti e soprattutto meno violenza. Sono luoghi comuni, ma alla fine della fiera sono la verità e io ci credo. Aggiungiamo un generico rispetto per le regole della società. Credo sia questa la civiltà».

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