Il viaggio nel repertorio prima o poi conduce anche nel mondo delle scelte meno frequenti degli autori, come quella di comporre per sestetto d'archi. La Scala oggi a partire dalle ore 16 propone pagine scritte proprio per questa «inusuale» formazione, pezzi a opera di musicisti il cui nome non si legge troppo spesso nei programmi. Ovvero Bohuslav Martinu (verrà eseguito il «Sestetto H.224»), Erwin Schulhoff («Sestetto d'archi») e Erich Wolfgang Korngold («Sestetto in Re maggiore op. 10»).
Non solo loro si sono cimentati con questo complesso. C'era Brahms anzitutto - come spiega nelle note scaligere Federico Lazzaro - che di sestetti ne ha scritti due (op. 18 e op. 36). E ancora Schönberg, la cui «Notte trasfigurata» fece scandalo agli albori del XX secolo affibbiando al compositore la fama di iconoclasta che non si è più scollata dal suo nome. La scrittura per sei strumenti della stessa famiglia (due violini, due viole, due violoncelli) ha un che di austero (ricorda le sfide della polifonia rinascimentale, quel timore riverenziale che incute il sottotitolo «a sei voci»): è il côté Brahms del sestettoBrahms, il mostro sacro della perfezione compositiva ottocentesca.
Grazie al peso minore di questo genere (prima di Brahms, nessun altro gigante vi si era cimentato), il sestetto offre una libertà che non si osa(va) permettersi con formazioni cameristiche più istituzionali come il quartetto d'archi; è il suo côté Schönberg.
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