«Spiegatemi perché chi ha ucciso mia figlia gira libero in paese»

«Spiegatemi perché chi ha ucciso mia figlia gira libero in paese»

«Chi ha ucciso la nostra Antonia? Perché l’uomo accusato del suo omicidio è solo indagato e non è ancora in galera o almeno ai domiciliari? Siamo riusciti a ottenere che, provvisoriamente, non possa vedere più suo figlio. Ma non è abbastanza: può andare dove vuole. E se ci capitasse d’incontrarlo per strada?».
Nell’appartamento di un condominio alla Bovisa 5 paia d’occhi sgranati se ne stanno intorno al tavolo della cucina davanti a tante foto di Antonia Bianco. Quando è morta, il 13 febbraio scorso, con una stilettata al cuore sferratale per strada, lungo via Turati, a S. Giuliano Milanese, questa italo argentina aveva appena compiuto 43 anni. Sorride Antonia in foto: alla comunione della figlia Florencia Belen, 12enne; accanto al figlio maggiore, Maximiliano, 23 anni. E poi con l’ultimo, Gabriele, 5 anni: quando il 10 marzo sono stati celebrati i funerali di Antonia alla chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio di via Ricotti, gli hanno detto che «è tornata in Cielo con il nonno».
Poco più di un mese fa la vita di questi ragazzi si è trasformata in una vera tragedia, ma la zie Assunta e Paola e nonna Maria Teresa, le sorelle minori e la madre di Antonia - 41, 36 e 71 anni - li aiutano a restare sereni.
«Mia sorella Antonia ha conosciuto Carmine, un uomo che ora ha 54 anni, nel 2005. S’innamorarono e nel 2006 nacque Gabriele, fortemente voluto da entrambi. Se per Antonia si trattava del terzo figlio, per Carmine, che inizialmente ci aveva raccontato di essere scapolo e di vivere con la madre, era addirittura il settimo: ne aveva avuti 3 da un matrimonio e altri 3 con la sua attuale convivente, che abitava con lui e i ragazzi a San Giuliano: un’unione che lui non ha mia messo in discussione. All’inizio Carmine era dolce. Dopo la nascita del bimbo diventò un altro. Diceva sempre ad Antonia: “se non sarai mia non sarai mai di nessun altro“. Poi veniva a casa nostra con un atteggiamento da padrone e ci offendeva tutti pesantemente. Senza contare che non ha mai dato un soldo a mia sorella per il mantenimento del piccolo».
Nel novembre del 2009 Carmine picchia Antonia, lei si fa medicare al Niguarda, quindi lo denuncia per lesioni, diffamazione e ingiurie. E non lo frequenta più. Tra il 2009 e il gennaio 2012 la donna, costretta anche a cambiare numero di telefono, lo querelerà altre 3 volte per stalking (la prima udienza per queste denunce è stata fissata solo per il prossimo 26 giugno, quando Antonia sarà morta da oltre quattro mesi, ndr). «Continuava a insultarci e a minacciare mia sorella - spiega ancora Assunta - Antonia, però, era buona. E ogni due settimane, permetteva a Carmine di tenere il piccolo per tre giorni».
I fatti precipitano venerdì 10 febbraio. Quel weekend Carmine lo passerà con il figlioletto e infatti lo va a prendere all’asilo. Lì le insegnanti gli dicono che, per autorizzare il figlio maggiore di Antonia, Maximiliano, ad andare a prelevare il piccolo a scuola, anche lui, padre del minorenne, deve firmare un permesso. Carmine si rifiuta, ma si guarda bene di farne parola ad Antonia. Il lunedì la donna, che ora lavora in una scuola cattolica, viene a sapere non solo del documento non firmato, ma anche che Carmine ha nuovamente chiamato a casa per insultare sua madre. Così, la sera, si fa accompagnare da Maximiliano a casa di Carmine, a San Giuliano, per parlargli.
«Mio nipote ci ha raccontato che in strada, in via Turati, quella sera c’erano lui e mia sorella, Carmine, la sua compagna e due dei loro figli, un 16enne e una 18enne - racconta Assunta -. Mentre Antonia parlava in un angolo con Carmine, Maximiliano dava retta al resto della famiglia, a qualche metro da sua madre. A chiamare i soccorsi sono stati i titolari del bar di fronte, accortisi che la discussione stava degenerando. All’improvviso, infatti, Carmine si è allontanato ed è risalito in casa: mia sorella, intanto, si era accasciata a terra, con la bava alla bocca».
«Al Policlinico di San Donato non si sono accorti di nulla, hanno sempre parlato di morte per arresto cardiocircolatorio - prosegue Assunta - . Addirittura ci avevano restituito gli abiti di mia sorella sollecitandoci a organizzarle il funerale. È stata mia madre che, una volta a casa, ha notato quella macchia di sangue, grande quanto una monetina, nel punto in cui il reggiseno tocca l’ascella. Ancora non sospettavamo nulla, ma a quel punto abbiamo chiesto l’autopsia pretendendo che venisse eseguita all’istituto di medicina legale di Milano e non al centro autoptico di Melegnano dove era stato portato in un primo tempo il cadavere. L’hanno fatta il 24 febbraio. Io e Maximiliano abbiamo riconosciuto Antonia che aveva 2 grossi graffi sulla guancia sinistra. Poi ci hanno congedato in fretta. Per richiamarci, però, qualche ora più tardi raccomandandoci di portare con noi gli abiti che Antonia indossava la sera in cui era morta. “Ma hai visto se chi era in compagnia della mamma la sera in cui è morta aveva in mano qualcosa? - ha domandato l’anatomopatologo a Maximiliano per ben due volte - perché qui c’è qualcosa che non va...“. Alle 15.

30 ci hanno detto di mandare le pompe funebri a prendere il cadavere. Ma il responsabile è tornato senza Antonia e con un foglio. “Lesione toracica da arma bianca, omicidio“ c’era scritto sopra. Poi è scattata la denuncia per omicidio colposo. E da allora aspettiamo di avere giustizia».

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