(Anche) stavolta qualcosa potrebbe andare storto, per Bruno Tabacci. E la sua ennesima candidatura, che già viaggia da un corridoio all’altro della politica, finirà così per essere frustrata. Si parla della Regione ovviamente. Della possibilità, che si torni a votare prima della scadenza naturale della legislatura, nel 2015. Ma anche, chissà, di quella scadenza, a cui arriverebbe in sella da assessore al Bilancio del Comune di Milano (che va al voto nel 2016). Non è affatto un mistero, ed è più un’indiscrezione (peraltro lui non l’ha mai smentito), che l’attuale presidente dell’Api possa (o meglio voglia) essere il candidato del centrosinistra alla guida del Pirellone, o - come si deve dire oggi - del Palazzo Lombardia.
La premessa è che l’ambizione politica di Bruno Tabacci è pari alla considerazione che ha di sé: molto alta. L’incarico di governatore della Regione più importante d’Italia, per popolazione ed economia, lo trova sicuramente confacente alle sue qualità, e peraltro lo ha già sperimentato, seppur per un breve periodo, in un’epoca che oggi si direbbe preistoria politica. E sono diversi i segnali politici che portano a questa soluzione. Il primo: meno di un mese fa Tabacci è stato uno dei protagonisti di un convegno dedicato alla «crisi del modello Formigoni». Un incontro di tutte le opposizioni schierate contro la maggioranza di centrodestra: l’opposizione di sinistra e quella del Terzo polo. Altro tassello del mosaico la lunga intervista rilasciata all’Espresso su «Chi ha tradito Don Giussani»: l’affermazione-titolo è tutto un programma (politico). Terzo indizio, la sua storia recente. Il mantovano Tabacci, infatti, è stato candidato a essere candidato a tutte le ultime elezioni importanti che hanno ruotato intorno a Milano. Quelle per il sindaco, naturalmente, quando poi il Terzo polo gli preferì Manfredi Palmeri, ma - prima ancora - quelle per il presidente della Regione, quando l’Udc scelse, come cavallo, il bergamasco Savino Pezzotta.
C’è da dire che Tabacci ha sempre avuto ampio credito fra i politici che contano: prima Ciriaco De Mita che lo volle, appunto, presidente della Regione Lombardia nella Prima repubblica, poi Pier Ferdinando Casini, che lo ha preso per due volte nell’Udc, da cui per due volte è uscito. Ma anche Francesco Rutelli, che gli ha riservato il ruolo di presidente della sua piccola Alleanza per l’Italia, e infine Giuliano Pisapia, che lo ha voluto nella squadra di sinistra (a «titolo individuale») a guidare il Bilancio e gli ha dato le chiavi di Palazzo Marino (il Comune è in mano a un assessore esterno, un «tecnico» non scelto dagli elettori, e per giunta di un altro schieramento).
Se Tabacci trova ostacoli, dunque, non è fra i politici, ma fra gli elettori e i militanti della sua stessa area. Si parlò molto delle elezioni comunali in cui, da capolista prestigioso, raccolse meno voti di altri due «amici» - circa 1.300, e fu un voto di protesta della base Udc per una candidatura vissuta come un’imposizione. Ma il bis si è avuto proprio con le due candidature mancate nel 2010 e nel 2011. E anche oggi «gli amici» scommettono che la corsa di Tabacci finirà allo stesso modo.
Non solo per le ripercussioni dell’operazione Sea, che indubbiamente non è brillante - se non altro come immagine - ma anche perché il Terzo polo da un lato non vuole andare al voto oggi, se non altro perché dovrebbe contare i suoi voti (che in Lombardia probabilmente saranno deludenti, rispetto alle ambizioni e al peso vantato oggi nell’era-Monti). E soprattutto non vuol essere schiacciato a sinistra, unico lato dello schieramento nel quale Tabacci può sperare di trovare sponde per una candidatura che punta a chiudere l’«era Formigoni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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