Don Carlo, Rodrigo, Elisabetta di Valois, Principessa d'Eboli, Filippo II re di Spagna e il Grande Inquisitore, ecco il sestetto di protagonisti dell'opera Don Carlo, il capolavoro di Giuseppe Verdi che il 7 dicembre apre la stagione del Teatro alla Scala. Cast da prima, con il baritono Luca Salsi, Francesco Meli, Anna Netrebko, Elina Garanca, Michele Pertusi e Ain Anger. Lluis Pasqual firma la regia mentre sul podio c'è il direttore Riccardo Chailly che tra le cinque versioni di Don Carlo ha scelto la numero 4, quella che Verdi fece ad hoc per Milano, succinta nei suoi 4 atti, a detta di molti, la più convincente.
È questo un titolo fatto di amori impossibili perché la Principessa di Eboli ama, senza essere ricambiata, Don Carlo che ama Elisabetta la quale ha però dovuto sposare il di lui padre Filippo II ha ben chiaro per chi batte il cuore della moglie. Per fortuna in mezzo c'è Rodrigo, Marchese di Posa, che non ama nessuno, dunque può dedicarsi alle battaglie per la libertà delle Fiandre e all'amico Don Carlo, fragile e irrisolto. Siamo nella Spagna del Cinquecento, storici alcuni fatti e i personaggi, vedi Filippo II re di Spagna, suo figlio don Carlo, Elisabetta di Valois. E Carlo V che alla fine con gran colpo di scena esce dalla tomba portandosi il nipote nell'aldilà. Amen. Certo, Verdi si prende grandi libertà, e prima di lui i librettisti su su fino a Schiller, per una vicenda che è intrico di passioni cocenti, di scontri tra potere temporale e spirituale, tra padre e figlio, tra una politica oppressiva e l'aspirazione alla libertà.
Luca Salsi, con Rodrigo arriva la luce in quest'opera dalla tinta brunita.
«È un personaggio pulito, lotta per i diritti, per la libertà delle Fiandre. Dà la vita per l'amicizia. Un insieme di qualità che lo rendono caro a Filippo II».
Che però lo manda alla morte.
«Lì entra in campo il Grande Inquisitore. Filippo II accetta che il trono piegar dovrà sempre all'altare».
Lei fa sempre il cattivo, da Scarpia a Jago. Finalmente un personaggio lindo.
«Guardi che a me piace fare il cattivo sul palcoscenico».
La si direbbe pacioso, da buon emiliano (di Parma, 1975)
«Rodrigo un po' mi somiglia, per questo preferisco dedicarmi a chi è diverso da me. I personaggi cattivi sono i più intriganti, hanno psicologie più coinvolgenti. Adoro fare Scarpia».
Verdi che abito sonoro prepara per Rodrigo?
«Lunghi archi legati e moltissimi colori. Si va da pianissimi con quattro p a fortissimi. Bisogna avere un'ampia tavolozza di colori».
Alla Caravaggio?
«Più alla Monet, un po' nebbiosi. È un ruolo difficilissimo, a volte gli studenti di canto mi dicono che vorrebbero fare Rodrigo perché è un giovane come loro. Io li dissuado. Canta moltissimo, dall'inizio alla fine, deve avere un'ottima gestione dei fiati, è sempre scoperto».
Sarà una regia classica, dicono.
«Super-classica. Il regista ha lavorato sui rapporti dei personaggi. Fa di tutto per non metterci in difficoltà con strane posizioni del corpo, non ci fa cantare di spalle per dire. Rispetta il canto».
Questa volta niente ascensori che si bloccano (ndr vedi Macbeth il 7 dicembre del 2021)?
«E neppure ponti che si inceppano. Tutto andrà liscio».
Prima accennava ai giovani. Lei insegna?
«Ho solo un allievo, Giuseppe Todisco. Ha una passione incredibile, per venire a lezione da me a Milano, parte da Napoli alle 5 e rientra in giornata».
Cose che ha fatto anche lei.
«Ci credevo, e ci credo ancora. Alla fine rimango un utopista.
Perché bisogna essere utopisti, oggi, per fare il cantante lirico?».
«Se fossi un giovane ci penserei due volte prima di fare questa carriera. Quando ho iniziato, 30 anni fa, c'erano piccoli teatri ovunque, palestre utilissime per debuttare i primi ruoli. Oggi mancano queste realtà e un giovane non riesce a farsi le ossa, viene subito catapultato sui grandi palcoscenici, ma cantare chiede esperienza e nervi d'acciaio, questi te li fai col tempo. Nel cast di Don Carlo, che è fantastico, tutti noi abbiamo fatto la gavetta, e ne siamo grati.
Cosa dice della catena di scioperi dei teatri lirici?
«Sono stato molto all'estero, non ne so niente. E poi noi solisti non conosciamo la forma dello sciopero. Abbiamo altri problemi».
Quali?
«Ne parlai con il fu ministro della Cultura, e mi piacerebbe rilanciare con l'attuale. Dall'America alla Germania, i cantanti solisti hanno un cachet spalmato su tutte le prove, cioè su tutto il lavoro fatto in settimane.
Da noi l'onorario si concentra sulla serata dello spettacolo, con il problema che se quel giorno ti ammali, perdi tutto e nel frattempo hai anticipato le spese. Siamo solisti e ci prendiamo i rischi del caso. Però il sistema andrebbe un po' rivisto».
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