
«Nulla è vero, tutto è permesso». Queste, secondo la leggenda, furono le ultime parole di Hasan-i Sabbah, Il Vecchio della Montagna, il fondatore del misterioso Ordine degli Assassini: una cerchia di fanatici sicari, responsabili di un numero incalcolabile di delitti crudeli ed efferati e di azioni suicide, compiute dopo essersi storditi con l'hashish all'origine del loro nome arabo, Hashishiyyin, secondo una controversa etimologia nella convinzione di guadagnarsi il Paradiso.
Questa, appunto, è la leggenda. Ma la vera storia degli Assassini è ben più affascinante, come spiega Laura Minervini nel suo L'invenzione degli assassini. Genesi di una leggenda medievale (Il Mulino).
Il libro racconta il processo che ha portato alla costruzione di una leggenda dai tratti particolarissimi, estremamente popolare fino al tardo medioevo e destinata a ritornare ai nostri giorni con il videogioco Assassin' s Creed: perché prima di assumere il significato di «omicida», il termine «assassino» ha designato gli appartenenti alla comunità politico-religiosa degli ismailiti, una comunità sciita diffusa in Persia e in Siria e conosciuta nell'Occidente medievale grazie ai racconti di cronisti e viaggiatori. Come Iacopo da Vitry, che nell'Historia Orientalis scriveva: «si dice che la quantità di questi uomini, chiamati Assassini, oltrepassi il numero di quarantamila». O Burcardo di Stasburgo: «considera che nel territorio di Damasco, Antiochia e Aleppo vi è un popolo di saraceni sulle montagne, chiamato nella loro lingua volgare Heyssessini e in lingua romanza Segnors de montana».
Secondo il racconto di Burcardo, questo popolo viveva senza legge, si nutriva anche di carne di maiale contro il precetto dei saraceni e approfittava indifferentemente di ogni donna, persino madre e sorella: «vivono sulle montagne e sono quasi inespugnabili, perché si rifugiano in castelli straordinariamente fortificati Hanno inoltre fra loro un signore, che incute grandissimo timore a tutti i principi saraceni situati vicino e lontano, nonché ai cristiani vicini e potenti, poiché è solito ucciderli in modo singolare».
E questo misterioso, spietato capo, all'origine Hasan-i Sabbah, «nella realtà una personalità carismatica dal tenore di vita ascetico dotato di grandi capacità strategiche e organizzative», spiega la Minervini, diventerà, nella leggenda successiva, quel «Veglio della Montagna che fece il paradiso, e li assassini», nelle parole del Milione di Marco Polo, a cui i suoi discepoli «erano devoti e gli obbedivano fino alla morte». Questo Vecchio continua Arnoldo di Lubecca nei Chronica Slavorum, «coi suoi inganni ha raggirato gli uomini della sua terra in modo tale che essi non onorino e non credano in nessun Dio al di fuori di lui»: promette ai suoi seguaci, «in maniera assurda» la prospettiva e quasi le gioie di una felicità eterna, «in modo tale che preferiscano morire piuttosto che vivere». E, addirittura, molti di loro, «che stavano su un altissimo muro, a un suo cenno o a un suo ordine si sono buttati giù, così che rompendosi il collo sono periti di misera morte».
Ma qual era il segreto che ha portato alla leggenda del Vecchio della Montagna e dei suoi Assassini? Forse, come aveva intuito Nietzsche, la cifra di questo misterioso
potere consisteva in quelle ultime parole («Nulla è vero, tutto è permesso»), che ritorneranno nello Zarathustra, e che non sono altro, in fin dei conti, che la promessa di una illimitata, spaventosa, irraggiungibile libertà.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.