“L’acqua divide gli uomini, il vino li unisce” scriveva il poeta napoletano Libero Bovio.
Un collante durevole, almeno fino a quando questi non si confrontano sul tema dei solfiti.
Lì, su un terreno scivoloso, gli appassionati enofili si dividono e i falsi miti trovano terreno fertile dove attecchire.
E mentre il partito dei detrattori (che generalmente si orienta verso i vini naturali) considera i solfiti come un male, come “la medicina” chimica che li snatura, da cui è necessario star lontani, i meno integralisti acclamano la loro presenza come imprescindibile per produrre vini che invecchieranno lungamente in condizioni ottimali.
L’oggetto della discordia, il S02 ( diossido di zolfo) è sostanzialmente un conservante con il compito di prevenire uno sviluppo microbico indesiderato nelle varie fasi di vinificazione.
I solfiti si possono aggiungere a fine fermentazione, per bloccare processi indesiderati, ma anche durante la filtrazione o nel momento dell’imbottigliamento.
La loro azione contrasta il deperimento del vino, lo protegge dall’ossidazione, lo stabilizza così da conservarlo al meglio contro le variazioni di temperatura, luce ed eventuali shakeramenti durante il suo trasporto.
I fan dei solfiti ci tengono a precisare che in loro assenza un vino si trasformerebbe in aceto, privandoci della sua complessità che cresce con la maturazione, mentre i detrattori ne sottolineano il carattere innaturale che il loro uso importante conferirebbe al vino, rendendolo un prodotto troppo industriale.
In realtà da novembre del 2005 si è sancito l’obbligo (con due regolamenti comunitari il 753/2002 e il 1991/2004 ) per i produttori di vino di aggiungere la dicitura “contiene solfiti” per quei vini che hanno un contenuto di anidride solforosa al di sopra dei 10/mg per litro.
Le dosi massime consentite dalla Comunità europea sono 200mg per litro per i rosé e i bianchi e 150 mg per i rossi che essendo prodotti con bacche nere ricche di tannini antiossidanti godono di un aiutino naturale e necessitano di meno conservanti.
Ma c’è di più, sull’assunzione dei solfiti, si è anche dovuta stabilire una dose giornaliera ammissibile di 0,7 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo oltre la quale non è raccomandabile eccedere.
Perché i solfiti oltre ad essere dei conservanti sono anche degli allergeni causa aver effetti avversi come attacchi d’asma, rinite, orticaria .
Siamo letteralmente invasi dai solfiti che si trovano in cereali trasformati, salumi, condimenti come ketchup e mostarda, frutta secca, frutta e legumi congelati o sottovuoto, spezie, succhi di frutta, pesci, crostacei e molluschi, aceto e the nero.
E sono classificati sulle confezioni con codici alfa numerici che vanno dall’ E220 all’E228.
E per gli appassionati enofili detrattori dei solfiti che li rifuggono come la peste, la cattiva notizia è che non esistono in assoluto dei vini senza solfiti.
I lieviti fabbricano naturalmente della S02 durante la fermentazione e possono arrivare a concentrare fino a 300 mg di solfiti per litro.
Perciò è più corretto affermar che esistono vini “senza solfiti aggiunti” come si legge su certe etichette (che di solito identificano i vini naturali) e il loro uso può certamente essere ridotto durante la vinificazione.
Un escamotage semplice ed efficace per far evaporare una importante percentuale di anidride solforosa libera mitigandone gli effetti collaterali consiste nell’ossigenare il vino, anche solo roteando il calice.
Ma siamo sicuri che il famoso mal di testa che si accusa il giorno successivo ad eccessi libatori sia davvero dovuto alla presenza dei solfiti ? Sembrerebbe di no.
L’alcol disidrata il corpo e il nostro cervello ci manda segnali precisi quando privato di acqua.
Ecco perché l’idratazione è d’obbligo.
Nel rispetto della saggia regola “est modus in rebus”, ad un bicchiere di vino dovrebbe corrispondere un bicchier di acqua.
Che non potrà far miracoli se si è perso il conto dei calici consumati.
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