Centodieci giornalisti ucccisi nel corso del 2015, di cui solo il 36% in zone di guerra.
È questo il dato più rilevante e insieme più preoccupante che emerge dal rapporto annuale di "Reporter senza frontiere" dedicato ai reporter uccisi quest'anno in tutto il mondo. A ieri, dei centodieci cronisti assassinati, quarantanove sono stati uccisi deliberatamente per essere obiettivi noti, diciotto hanno perso la vita nello svolgimento del proprio lavoro e quarantantré invece sono morti in circostanze ancora da chiarire.
A questo triste conto vanno aggiunti ventisette "citizen-journalists" e sette operatori dei media. Impressionante il dato relativo ai morti in zone di guerra: rappresentano appena il 36% dei decessi dei centodieci colleghi. Nel 2014, le proporzioni erano invertite.
Reporter senza frontiere attribuisce questi dati inquietanti non solo all'aumentato tasso di violenza deliberata contro i giornalisti ma anche e sopratutto al sostanziale fallimento delle politiche per proteggerne l'incolumità. Sul tema è intervenuto anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban-Ki-Moon, che ad agosto aveva espresso preoccupazione per la "quasi totale impunità" a cui vanno incontro i responsabili di questi crimini.
Tra i Paesi più pericolosi per i giornalisti figurano Iraq e Siria, con rispettivamente undici e dieci decessi, immediatamente seguiti dalla Francia, dove otto giornalisti sono morti nella strage di Charlie Hebdo di gennaio. Di seguito figurano Yemen, Sud Sudan, India, Messico, Filippine e Honduras.
Da non dimenticare, infine, i 54 colleghi tenuti in ostaggio e i 153 imprigionati in varie parti del mondo solo per aver fatto il proprio mestiere.
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