Hanno chiesto di non essere lasciati indietro, viste le minacce lanciate sui social dai filo talebani all’indirizzo di chi, come loro, negli anni passati aveva sostenuto le forze della Coalizione e gli occidentali. Alcuni interpreti afghani, una cinquantina di persone che hanno collaborato spalla a spalla con gli italiani presenti in Afghanistan, temono di essere inghiottiti dalle ombre che potrebbero presto alzarsi sul proprio Paese.
Presentata un’interpellanza urgente
Adesso la vicenda è arrivata dritta in parlamento, dove Salvatore Deidda, Capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Difesa, i colleghi Wanda Ferro e Davide Galantino, assieme a tutti i componenti del Gruppo parlamentare, hanno presentato una interpellanza urgente. "È comprovato che i militari italiani non lasciano indietro e non abbandonano mai nessuno: per questo motivo Fratelli d'Italia raccoglie l'appello lanciato dall'inviato di guerra Fausto Biloslavo e chiede al Governo di intervenire e chiarire quanto sta avvenendo in Afghanistan ai nostri interpreti", si legge in una nota congiunta.
I deputati vogliono fare luce su quanto accaduto, sapere di quante persone si tratta, da quanti anni esiste un rapporti con gli interpreti e altro ancora. Per questo hanno chiesto al governo giallorosso "di elaborare un piano per chi si è dimostrato nostro amico e alleato e ha messo la propria vita e quella dei suoi familiari in pericolo". "Anni fa, il Ministro Pinotti intervenne ma la soluzione Sprar non ci ha mai convinto. Non li vogliamo condannare all'assistenzialismo e metterli sullo stesso piano di chi entra illegalmente in Italia. Stanno servendo la nostra Patria: diamo loro una possibilità nel campo in cui si sono mostrati utili collaboratori", hanno concluso i rappresentanti di FdI.
La protezione dei collaboratori afghani
La questione della protezione dei collaboratori afghani "è un tema da sempre tenuto in grande considerazione dalla Difesa italiana", hanno sottolineato all’Adnkronos dallo stesso dicastero, in merito al licenziamento degli interpreti afghani del contingente italiano in Afghanistan, problema evidenziato in un’inchiesta de Il Giornale firmata dai giornalisti Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto.
Le stesse fonti hanno quindi approfondito il tema dal punto di vista burocratico: "La norma prevede, per assicurare la protezione, i due requisiti del rapporto di lavoro continuativo e del fondato rischio di danni gravi alla persona in caso di permanenza in Afghanistan. Tali presupposti mirano a contemperare gli interessi dei citati collaboratori con quello del nostro paese a non accogliere richiedenti di cui non siano certe la provenienza, l'affidabilità e l'esposizione al rischio".
"Ne consegue che non tutti i rapporti di lavoro intercorsi in Afghanistan risultano idonei a determinare l'accesso al programma di protezione previsto con la legge sopra richiamata, ma solo le prestazioni che rispondono fedelmente al disposto normativo. A suo tempo sono stati individuati circa 420 cittadini afghani tra ex collaboratori e familiari ai quali è stato possibile riconoscere i benefici della protezione internazionale previsti dalla legge", ha aggiunto il Dicastero.
Per gli attuali collaboratori afghani, "nel pieno rispetto della legge, è allo studio un nuovo programma di protezione, che sarà realizzato concordemente all'evoluzione della presenza militare italiana nel paese asiatico".
Ricordiamo che, a partire dal 28 novembre ,i collaboratori afghani hanno cominciato a ricevere le lettere di fine rapporto, senza alcun accenno a un ipotetico piano per garantire la loro sicurezza. Undici di loro sono già stati rimandati a casa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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