È l'affluenza il primo dato che salta all'occhio guardando alle elezioni che si sono tenute oggi in Catalogna, per formare un nuovo governo, dopo che quello di Carles Puigdemont è stato destituito all'apice della crisi scatenata dal referendum sull'indipendenza da Madrid, per cui gli elettori hanno votato a ottobre tra scontri e condanne dall'Unione Europea.
Con i seggi chiusi alle 20, è arrivato qualche ora dopo quell'82% che dice di un voto di massae distrugge il record precedente fatto segnalare nel 2015, quando l'asticella si era fermata al 74,95% degli aventi diritto.
L'altro risultato che viene dalle urne, quando è ormai stato scrutinato il 99% delle schede, parla invece di un exploit effimero, quello di Ciudadanos, il partito unionista che con 37 seggi si piazza alla Generalitat come primo partito, ma senza impensierire la coalizione indipendentista, che con un totale di 70 seggi - due in meno rispetto al 2015 - centra comunque l'obiettivo della maggioranza assoluta.
Tra i partiti del no a Madrid la prima posizione è quella Junts per Catalunya, la formazione politica dell'ex presidente Carles Puigdemont, che ottiene 34 seggi, due in più della Esquerra Republicana di Oriol Junqueras, ex vice presidente ed ex ministro dell'Economia, che oggi ha votato per posta dal carcere in cui si trova rinchiuso con l'accusa di sedizione.
"Oggi dimostreremo di nuovo la forza di un popolo indomabile.
Che lo spirito del 1° ottobre ci guidi sempre", ha scritto questa mattina su twitter l'ex presidente della Generalitat Puigdemont, fuggito a Bruxelles con altri membri del suo governo dopo che su di lui è stato spiccato un mandato d'arresto, poi ritirato. I fatti, almeno alle urne, gli hanno dato ragione. Il vero sconfitto - sostiene - il Partito popolare di Mariano Rajoy, che paga la mano dura e si ferma al 2.2%.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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