Così la mafia fa affari in Germania

"La mafia è arrivata in Germania con le ondate migratorie dall’Italia negli anni ’60. Il vero salto di qualità, però, l’ha fatto con la caduta del Muro di Berlino nel 1989"

Così la mafia fa affari in Germania

Berlino, centro città. La trattoria ‘A Muntagnola’ è uno dei ristornati italiani più rinomati della metropoli. Tanti clienti di tutte le nazionalità, bottiglie di vino italiano lungo le pareti, profumo di cucina casereccia nell’aria e una grossa foto della città di Matera sulla parete di sfondo. Dietro il bancone siede Pino, il proprietario. Di origini lucane, vive in Germania dal 1982. Dopo aver iniziato come cameriere ha aperto la sua attività, diventando oggi uno dei punti di riferimento della comunità italiana di Berlino.

“Sono scappato dall’Italia per fuggire dalla sua cultura mafiosa e clientelare”, spiega. “Qui in Germania è diverso, lo Stato è di aiuto e non di ostacolo. Eppure la mafia l’ho trovata anche qui”. Pino, infatti, è stato vittima di una tentata estorsione da parte di un clan camorristico. “Era il dicembre 2007”, racconta. “Un giorno si presentarono qui al ristorante due ragazzi. Il loro modo di fare era educato e gentile, eppure erano qui per chiedere il pizzo. Parlando in italiano augurarono a me e ai cameriere un buon Natale e mi lasciarono una lettera, dicendomi di leggerla e che poi sarebbero tornati”. Il contenuto era molto esplicito. “Diceva che se avessimo voluto passare un buon nuovo anno avremmo dovuto fare delle donazioni al nostro Santo protettore. Altrimenti avremmo avuto problemi”. Una minaccia, questa, che in un primo momento destò stupore e paura nel ristoratore. “Mai avrei pensato che una cosa del genere potesse avvenire a Berlino, dove noi italiani siamo tanti e molto ben intergrati. Se ciò fosse avvenuto in Italia, probabilmente, avrei ceduto. Qui, invece ho avuto fiducia nelle istituzioni e mi sono subito rivolto alla polizia. Facendo rete con tutti gli altri ristoratori italiani della città”. Gli estortori probabilmente le ignoravano, ma Pino già da tempo era attivo sul fronte antimafioso un Germania. A seguito della strage di Duisburg, avvenuta nell’agosto del 2007, aveva contribuito a fondare un comitato chiamato ‘Mafia? Nein Danke’ (Mafia? No Grazie), con l’obiettivo di riunire i gastronomi italiani in Germania per fare fronte alla presenza mafiosa che a Duisburg aveva manifestato essere presente anche in terra tedesca. “Appena i due ragazzi se ne andarono mi misi a fare una serie di telefonate ai vari colleghi” continua, “scoprendo che tutti loro avevano ricevuto la stessa visita”. In tutto in 44 ristoranti italo-berlinesi era stata consegnata la stessa lettera e due di loro avevano subito attacchi incendiari per aver rifiutato di pagare. Uniti si rivolsero alla polizia, che si mise immediatamente ad indagare e nell’arco di dieci giorni arrestò i due estorsori e il loro mandante, un napoletano legato ad un clan camorristico. I tre vennero processati e condannati a cinque anni di reclusione. Da quel giorno il pizzo a Berlino non è più stato chiesto. Eppure, secondo la polizia tedesca, la mafia non solo c’è ancora, ma si è rafforzata. A sostenerlo è Bernd Finger, ex capo della polizia di Berlino e Cavaliere della Repubblica Italiana. “La mafia è arrivata in Germania con le ondate migratorie dall’Italia negli anni ’60. Il vero salto di qualità, però, l’ha fatto con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, quando nell’Est del Paese si aprirono spazi immensi per fare investimenti e riciclare i proventi criminali”. Nella parte orientale del Paese, infatti, le difficili condizioni socioeconomiche connesse alla riunificazione nazionale hanno aperto ampissimi spazi criminali, nei quali si sono inseriti sia le agguerrite organizzazioni dei paesi dell’Est ma anche i rappresentanti delle famiglie mafiose calabresi e campane. Le indagini mostrano come le organizzazioni criminali italiane agiscano in maniera differente all’interno della Germania stessa. Nell’Ovest sono attivi soprattutto gruppi di ‘ndrangheta che, mimetizzandosi nelle folte comunità italiane, hanno ricreato società criminali analoghe a quelle calabresi e fortemente legate alle terre di origine.

È il caso, per esempio, di diversi locali di ‘ndrangheta individuati sulle coste del Lago di Costanza, nel Sud-Ovest tedesco, che fanno riferimento direttamente ai boss della Locride. Nella Germania orientale, invece, le organizzazioni siciliane, calabresi e campane hanno massicciamente investito nell’economia legale. Senza portare con sé né criminalità di strada, né degrado, né sangue. “La massiccia presenza dei clan nell’economia legale tedesca è il fatto più preoccupante” spiega Sandro Mattioli, giornalista italo-tedesco e presidente di Mafia?Nein Danke. “Ciò non porta allarmismo sociale né tra le istituzioni né nell’opinione pubblica. I tedeschi percepiscono la mafia come arcaica, retrograda e lontana. Non si rendono conto che queste organizzazioni sono moderne e globalizzate e che ce le hanno sotto casa.” La polizia tedesca, dal canto suo, ha mostrato di sapere contrastare efficacemente il fenomeno mafioso, ma solo in occasione di fatti di sangue o di crimini riconosciuti come tali. Come nel caso del pizzo a Berlino. O come dopo la strage di Duisburg del 2007, quando una faida tra clan calabresi provocò tanto sangue da scaturire la mobilitazione di stampa, opinione pubblica e forze dell’ordine. Cosa che secondo Francesco Forgione, al tempo presidente della Commissione Parlamentare antimafia, può fortemente danneggiare le attività criminali. “A Duisburg la ‘ndrangheta mostrò il suo vero volto” spiega. “Quello di una potenza imprenditrice globale che porta con sé distruzione, violenza e tradizioni criminali. In quell’occasione mostrò al mondo di avere una notevole forza militare anche al di fuori dell’Italia, tanto da riuscire a trasportare una faida fuori dai confini nazionali. Un segnale, questo, che mostra che se anche questa organizzazione non desta allarme sociale ma è attiva solo sul piano imprenditoriale con attività apparentemente lecite porterà con sé prima o poi anche in Germania sangue e omicidi”. A seguito della strage di Duisburg, in effetti, la polizia tedesca reagì con un’intensa e decisa attività di repressione che ha spinto le organizzazioni mafiose presenti in Germania ad evitare clamorose azioni malavitose. Da allora l’attenzione su di loro è andata via via dissolvendosi. E, secondo gli esperti, non sono mai stati adottati gli strumenti giuridici necessari per combatterla seriamente. “In Germania non esiste il reato di associazione mafiosa” continua a spiegare Mattioli.

“Nonostante solo nell’ultimo anno siano stati riconosciuti come mafiosi diverse decine di persone la maggior parte di loro è ancora a piede libero perché non accusati di nessun reato specifico. Troppo spesso le autorità si fermano ad osservare gli aspetti folkloristici dei mafiosi, senza occuparsi della loro silenziosa attività imprenditoriale che è diventata parte integrante dell’economia tedesca”. Senza fare più morti, dunque, le organizzazioni mafiose stanno crescendo insieme al mercato tedesco, riscontrando la connivenza di alcuni settori. E’ il caso di alcuni imprenditori sedotti dalla grande disponibilità di denaro contante di alcuni “colleghi italiani”, come alcune indagini hanno mostrato. Ma è anche il caso di alcuni politici. Sono stati riscontrati diversi casi, infatti diversi casi in cui la politica si sia rivolta ai clan per raccogliere i voti delle proprie comunità. Uno di questi è avvenuto a Stoccarda, dove è emerso come un politico locale si rivolgesse a un presunto mafioso per stabilire un pacchetto di voti. Un altro a Mannheim, dove diverse indagino hanno visto il coinvolgimento di una ‘ndrina nella falsificazione delle schede elettorali di emigranti calabresi residenti in Germania per la candidatura al Senato di Nicola Di Girolamo. Anche la Germania orientale, dove la mafia non ha mai fatto morti, è esente da questo fenomeno. Diverse indagini hanno evidenziato come, in diverse città come Erfurt e Dresda i politici vadano regolarmente a cena nei ristoranti italiani figli del denaro riciclato. In molti casi sembra che i soldi sporchi non solo non vengano rifiutati, ma facciano comodo.

Tesi, questa, confermata da uno dei massimi esponenti della polizia di Berlino, che preferisce rimanere anonimo. Interpellato sulla città di Erfurt, nell’Est del Paese, che le indagini hanno mostrato essere meta di massiccio investimento mafioso nel settore della ristorazione, la sua risposta alla domanda sul perché le forze dell’ordine non facciano nulla è stata: “Ma lo sa che il sindaco e molti politici locali vanno a mangiare tutti i giorni in quei ristoranti? A Erfurt nessun italiano porta apparenti problemi di criminalità, per i cittadini la mafia non è una questione”. Andando a indagare, dunque, si romperebbero degli equilibri senza che nessuno ne senta il bisogno. Finché la mafia non farà morti, dunque, sembra improbabile che l’opinione pubblica si mobiliti e che lo Stato tedesco adotti le leggi necessarie per contrastarla. Gli ultimi anni, però, hanno visto l’intensificarsi della collaborazione tra investigatori tedeschi e italiani. A spiegarlo è Laura Garavini, Deputata eletta imafianella circoscrizione Europa e capogruppo del Pd nella Commissione Ant. “Fortunatamente la Germania non è un Paese cieco e la sottovalutazione del fenomeno mafioso all’estero non è una peculiarità solo tedesca, ma di tutti gli Stati stranieri. Roma e Berlino stanno intensificando la collaborazione anche sede europea, dove nel 2015 è stata approvata una direttiva che prevede il reciproco riconoscimento della confisca dei beni mafiosi tra i due Paesi. Un altro passaggio importante da fare su questo fronte sarebbe l’approvazione di un’ulteriore normativa comunitaria che permetta di perseguire a livello europeo le aziende indagate di mafia e non solo le persone fisiche come avviene ora. I clan italiani, infatti, creano aziende di natura giuridica tedesca per acquisire i finanziamenti pubblici”. A confermare la reciproca volontà tra i due Paesi a contrastare insieme la mafia è Pietro Benassi, ambasciatore italiano a Berlino: “Le mafie sono già globalizzate e per contrastarle serve una coordinazione e un’azione congiunta tra di noi. La polizia italiana ha mandato, in funzione antimafiosa, dei suoi investigatori a vivere in Germania, lavorando a tempo pieno insieme alla polizia tedesca”. Le autorità italiane, infatti, vogliono mostrare ai tedeschi come dove ci siano gli italiani non ci sia automaticamente la mafia.

“In Germania la mafia italiana c’è. Ma dove ci sono gli italiani c’è spesso anche l’antimafia”. Come dimostrano Pino e gli altri 43 ristoratori estorti a Berlino. Che non hanno intenzione di pagare il pizzo né di scappare altrove.

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