Sparire dalla Storia. Non essere mai esistiti. Essere il nulla. Era questo, nella Roma repubblicana, la damnatio memoriae. I nemici dello Stato e i traditori venivano condannati all'oblìo. Lo scalpello, su ordine del senato, cancellava il nome del malcapitato dai monumenti, dalle monete e da tutto ciò che potesse in qualche modo ricordarlo. Ogni colpo sferrato contro il marmo era odio misto a disprezzo. Quell'uomo - o quella donna, come nel caso della moglie di Costantino, Fausta - scompariva. Non era più. La motivazione, dietro alla damnatio memoriae, era politica: ci si voleva sbarazzare di un passato imbarazzante e ingombrante. Si voleva dimenticare la Storia per poi riscriverla. A volte anche per stravolgerla (si pensi a Nerone, "condannato" sia dalla storiografia senatoria sia da quella cristiana). La pratica della damnatio memoriae piacque a molti, tanto che, qualche secolo dopo, venne addirittura riesumato un Papa (Formoso), solamente per esser condannato e, infine, gettato nel Tevere.
Eliminare gli errori (veri o presunti) della Storia è una tentazione di tutte le età, compresa la nostra. Spesso, il nostro passato, se giudicato con gli occhi del presente, ci imbarazza. Che farne, allora? Negli Stati Uniti, in un revival sanculotto, si è deciso di cancellarlo, facendosi "giustizia" da sé. Le statue dei padri della patria sono state rimosse o, peggio ancora, decapitate. Alcune fasce della popolazione (e della politica) non riescono a tollerare che quegli uomini fossero figli del loro tempo, del quale incarnavano pregi e difetti. Eliminare, in questo caso, è più facile di comprendere.
Lo stesso si è fatto, al termine della Seconda guerra mondiale, in Italia. Quei vent'anni di dittatura dovevano sparire: così furono distrutti i fasci, i busti con la mascella volitiva e vennero coperte le scritte che inneggiavano al ferro dei cannoni (poi tramutatosi in burro). Ci si vergognava di se stessi, bisognava voltare pagina. "Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…", ebbe a dire Sir Winston Churchill. Una nuova Italia doveva nascere. Per ricostruire lo spirito della nazione, si doveva annientare quella vecchia.
Ogni rivoluzione passa da qui. Nel bene o nel male. È quello che sta accadendo anche oggi in Ucraina. L'invasione russa ha segnato un punto di rottura. E a farne le spese non sono solamente i civili massacrati e i soldati spediti al fronte, ma anche i monumenti e la toponomastica. Primo tra tutti, l'arco che venne donato nel 1982 da Mosca a Kiev per celebrare non solo il 60esimo dell'Unione sovietica, ma anche i 1500 anni dalla fondazione della capitale ucraina. L'Arco dell'amicizia dei popoli, questo il suo nome completo, non ha più alcun legame con il presente. Con la realtà. È ormai obsoleto. Perché è vero che i due popoli sono fratelli, ma oggi lo sono come lo erano Eteocle e Polinice, i due eroi del ciclo tebano che si ammazzano vicendevolmente e che Dante ricorda (senza però metterli) nell'inferno. Eternamente divisi. Non a caso, lo "scrittore maledetto", Robert Brasillach, prese spunto da questo ciclo per raccontare la guerra civile francese durante il Secondo conflitto mondiale ("tra breve indosseremo le armature del combattimento, inveiremo e lotteremo l’un contro l’altro, fino alla morte. Uno di noi due morirà. Forse ambedue. È necessario"). Sotto all'Arco dell'amicizia dei popoli, fino a poche ore fa, era inoltre presente una statua, costruita nel 1982, che raffigurava due operai, uno ucraino e l'altro russo, che sorreggevano la stella dell'Ordine sovietico. Ora il russo non c'è più. È stato decapitato. "Questo posto non rappresenta più l'amicizia tra la Russia e l'Ucraina, la Russia ci sta attaccando. Qui sorgerà il monumento dedicato alla libertà dell'Ucraina", ha detto il sindaco Vitaly Klichko.
Lo scorso 7 aprile, il ministero della Cultura e della politica dell'informazione di Kiev e l'Istituto ucraino di memoria nazionale hanno introdotto un progetto per rileggere i rapporti storici tra Mosca e Kiev. "Putin ha invaso l'Ucraina per portarci via qualcosa di più della nostra indipendenza. Cerca di toglierci la memoria e la storia. Ma su questo fronte, come su altri, sconfiggeremo definitivamente l'aggressore. Perché la verità è dalla nostra parte", ha detto Oleksandr Tkachenko, ministro della Cultura e della politica dell'informazione ucraina. "D'ora in poi" - si legge nel comunicato diffuso dall'Istituto ucraino di memoria nazionale - "ogni lunedì, mercoledì e venerdì, storici professionisti, scienziati politici e filosofi ucraini smentiranno i falsi storici russi e presenteranno agli spettatori e agli ascoltatori le pagine del nostro eroico passato". L'episodio "pilota" di "Resistenza storica" è andato in onda l'8 aprile scorso, a reti unificate.
Ma non solo. In diverse città ucraine sono stati smantellati monumenti a Aleksandr Sergeevič Puškin, scrittore e drammaturgo russo. A Kiev, il capo della metropolitana ha deciso di rinominare cinque stazioni, tra cui quella dedicata allo scrittore Lev Tolstoj.
La Rada, infine, è pronta ad approvare un disegno di legge sulla "decolonizzazione" dei nomi gografici.Non ci sarà più traccia della civilità russa in Ucraina. Quello che sta nascendo, infatti, è un nuovo Paese: quello dei fratelli divisi. Per sempre.
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