Dieci giorni sono passati da quando papa Francesco ha aperto, con un fortissimo seguito mediatico internazionale, la Porta Santa a Bangui. Il Pontefice in Africa, le parole di speranza contro il terrorismo e la corruzione, il primo viaggio pastorale in un Paese in guerra e per molti quindi la viva speranza che il gesto del Santo Padre fosse l'epifania di un radicale cambiamento della situazione del Paese. Ma a poco più di una settimana di distanza dallo storico avvenimento, le strade della capitale centrafricana hanno visto di nuovo le barricate e gli spari.
In Repubblica Centrafricana il 13 dicembre i cittadini sono chiamati alle urne per il referendum presidenziale, il 27 invece dovrebbero svolgersi le elezioni per la nomina del Presidente, ed è stata proprio la presentazione delle liste con i nomi dei candidati a far innescare gli scontri nelle vie di Bangui. Trenta uomini appartenenti al mondo politico del Paese si contendono la guida della nazione. Nell'elenco mancano però i nomi degli ultimi tre capi di stato ed è stata l'esclusione dell'ex Presidente Bozize, deposto dalle milizie Seleka, e accusato di finanziare la ribellione Anti-Balaka ad aver inasprito gli animi.
Se a Bangui si spara, nelle altre aree del Paese la situazione rimane comunque precaria e il governo fatica a imporre il suo controllo. Notizia delle ultime ore, che testimonia infatti la friabilità della situazione centrafricana, è la decisione del leader ribelle musulmano Noureddine Adam di non far svolgere le votazioni nei territori sotto il suo controllo.
Le autorità transitorie del Centrafrica hanno definito questa dichiarazione come ''un atto di guerra'' e quindi, nuovi venti di odio stanno per travolgere il Paese che meno di dieci giorni fa credeva possibile il sorgere di una nuova alba di pace.
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