Ecco perché i terroristi colpiscono i centri commerciali

I centri commerciali fanno parte di quella categoria di bersagli definiti “soft-target”, ovvero “luoghi ad alta concentrazione di civili e difficili da proteggere proprio a causa della loro caratteristica “open space”

Ecco perché i terroristi colpiscono i centri commerciali

Gli Stati Uniti tremano di nuovo, questa volta a Houston, sempre in un centro commerciale, dove lunedì mattina intorno alle 7 ora locale un uomo armato di revolver ha aperto il fuoco contro alcuni clienti all’interno dell’edificio, ferendone nove prima di venire colpito e posto in stato di arresto dalla polizia. L’uomo, identificato come Nathan DeSai, avvocato definito “scontento” dai media locali, potrebbe aver agito in seguito a problematiche relative al lavoro, ma al momento è prematuro trarre conclusioni visto che le indagini sono ancora in corso. A quanto pare questa volta non si tratta di terrorismo internazionale, anche se ci troviamo di fronte al terzo caso di attacco a un centro commerciale negli Stati Uniti nell’arco di dieci giorni. Venerdì scorso, 23 settembre, un ventenne turco residente nello stato del Washington, Arcan Cetin, prendeva d’assalto il “Cascade Mall” di Burlington, vicino Seattle, uccidendo cinque persone a colpi di fucile Ruger 22.

Dopo l’attacco, l’uomo usciva tranquillamente dalla struttura, lasciandosi dietro l’arma utilizzata e veniva bloccato dalla polizia poco lontano. Le motivazioni dell’attentatore sono ancora al vaglio degli inquirenti che sembrano più orientati su questioni personali-relazionali e non su legami con il terrorismo. Sabato 17 settembre invece veniva preso d’assalto il centro commerciale “Crossroads” di St. Cloud, Minensota. L’attentato veniva perpetrato da Dahir Adan, vendiduenne di origine somala e residente negli Usa dall’età di due anni. Adan si recava intorno alle 20 all’interno del centro commerciale e feriva a coltellate dieci persone prima di venire ucciso da un agente di polizia fuori servizio. L’attacco veniva successivamente rivendicato dall’Isis tramite l’agenzia mediatica Amaq. Un fatto che pochi ricordano è che a gennaio 2016 a Houston veniva arrestato Omar Faraj Said al-Hardan, simpatizzante dell’Isis, palestinese nato in Iraq e giunto negli Usa nel 2009 come rifugiato. Il palestinese stava pianificando un attentato con ordigno esplosivo all’interno del centro commerciale “The Galleria”.

La tragedia veniva scongiurata grazie all’ottimo lavoro degli investigatori.

I centri commerciali fanno parte di quella categoria di bersagli definiti “soft-target”, ovvero “luoghi ad alta concentrazione di civili e difficili da proteggere proprio a causa della loro caratteristica “open space”, ovvero accessibile a tutti. Alcuni esempi di soft target sono scuole, ospedali, stadi, centri culturali, cinema, teatri, bar, ristoranti, luoghi di culto. I terroristi che decidono di colpire i “soft-target” non vanno in alcun modo sottovalutati o ritenuti dei dilettanti perché mirano a un obiettivo “facile”. Si tratta piuttosto di un nuovo tipo di strategia ben ponderata che punta a colpire i civili nel quotidiano, mirando non soltanto a fare vittime ma a colpirle psicologicamente, seminando il panico all’interno della società dei “miscredenti”. I terroristi sanno bene che difficilmente un attacco a un soft-target potrà essere impedito o prevenuto, ma al massimo contenuto, lasciando in ogni caso il civile con il terribile dubbio del “quando e dove avverrà il prossimo”. Le statistiche mostrano che i recenti attacchi ai centri commerciali hanno generato un numero di vittime di gran lunga inferiore rispetto a quelli di Parigi del novembre 2016, quando vennero colpiti ristoranti, bar, lo stadio e il teatro Bataclan. Ciò non deve però far pensare che gli attentati ai centri commerciali siano meno devastanti, anzi, se osserviamo le dinamiche dell’assalto al centro commerciali di Nairobi del settembre 2013, vediamo che il numero delle vittime è decisamente elevato (71 morti e 176 feriti).

La ragione di fondo sta nel fatto che mentre gli attacchi fin’ora avvenuti nei centri commerciali statunitensi, o quello di Monaco di Baviera del luglio 2016, sono stati messi in atto da singoli o al massimo un paio di assalitori con una pianificazione improvvisata e limitata, quello a Nairobi veniva invece pianificato, coordinato e messo in atto da una cellula di terroristi appartenenti all’organizzazione jihadista somala di stampo qaedista “al-Shabab”. Dunque, un attacco ben pianificato e coordinato, con alta potenza di fuoco, perpetrato in orario di punta da una cellula ben preparata potrebbe generare conseguenze devastanti, non soltanto perché sono luoghi ad alta frequentazione dove è facile massimizzare il numero delle vittime, ma anche perché il terrorista va così a colpire anche l’economia del paese in questione.

E’ quindi fondamentale trovare nuove strategie per prevenire e scongiurare potenziali attacchi e poter proteggere le strutture commerciali di riferimento, senza necessariamente dover ricorrere a un “modello chiuso” in stile israeliano, dove i centri commerciali vengono “blindati” con accurate misure di sicurezza esterne, efficaci ma difficilmente compatibili con il contesto europeo o statunitense.

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