Giro di valzer diplomatico in Medio Oriente

John Kerry incontra a Mosca Sergei Lavrov e Valdimir Putin. Ashton Carter ha iniziato il suo viaggio nella regione. Bashar Al Assad annuncia un incontro bilaterale a Teheran

Giro di valzer diplomatico in Medio Oriente

La calma dopo la tempesta. La reazione compulsiva delle cancellerie occidentali scatenata dalla tragedia parigina sembra aver lasciato spazio al pragmatismo della diplomazia. Adesso che l’opinione pubblica grida vendetta a voce bassa, i governi coinvolti nella lotta al terrorismo giocano la partita in “Siraq” con diverse strategie e diversi obiettivi. Come negli scacchi tutti gli attori in campo muovono le pedine con calma, studiando le mosse dell’avversario, e ritagliandosi allo stesso tempo i propri spazi in attesa di un avvenimento improvviso che rompa gli schemi. Il grande gioco mediorientale è giunto in una fase di stallo.

A dettare i tempi sono russi e americani. Martedì sera John Kerry ha incontrato a Mosca Sergei Lavrov e Vladimir Putin. “La Russia sta dando un grande contributo – ha detto il segretario di Stato Usa – al progredire della situazione in Siria”. Il suo viaggio conferma ancora una volta che il Cremlino è uscito dall’isolamento internazionale grazie al suo intervento militare approvato dal governo di Damasco riuscendo di fatto ad ottenere quello che ha sempre chiesto ai suoi interlocutori d’Oltreoceano: un rapporto alla pari nella risoluzione delle crisi internazionali. Eppure l’incontro “conciliante” tra le due potenze è molto lontano da quello che accade sul terreno. Le strategie di guerra di Washington e Mosca sono agli antipodi: i raid americani colpiscono timidamente le postazioni di Daesh nell’est della Siria; mentre l’aviazione russa bombarda tanto ad ovest dove c’è Jabhat Al Nusra, gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda, quanto ad est. Poi c’è la questione legata al futuro di Bashar Al Assad nella fase di transizione. Per l’amministrazione di Obama dovrebbe ritirarsi, per i Putin invece a scegliere devono essere i siriani. Divergenze a parte, le soluzioni diplomatiche verranno proposte e discusse ufficialmente in un primo momento questo venerdì al summit internazionale a New York e in un secondo a Vienna.

Nel frattempo il segretario alla Difesa americano Ashton Carter, ha iniziato ieri il suo viaggio in Medio Oriente con una sosta presso la base di Incirlik, nel sud della Turchia, dove ha esortato le nazioni alleate, in particolare l’Arabia Saudita e Turchia, a consolidare i loro sforzi per combattere il terrorismo. Se da un lato Riad ha formato una coalizione di 34 Stati prevalentemente di confessione sunnita, guarda caso senza Siria, Iran e Iraq, probabilmente per rafforzare il proprio potere contrattuale sui tavoli mondiale della diplomazia, Ankara risulta ancora troppo morbida (e se agisce lo fa violando la sovranità territoriale come accaduto di recente con l’invio di truppe al nord dell’Iraq). L’obiettivo di Carter è anche quello di analizzare le tattiche future per i suoi alleati occidentali, in particolare tedeschi, italiani, inglesi e francesi. Berlino ha dato il via alla sua missione che coinvolge 1.200 soldati, sei cacciabombardieri Tornado, due portaerei e una fregata, il cui compito è quello di proteggere la portaerei francese Charles de Gaulle; Roma ha inviato 450 soldati a protezione della diga di Mosul nel Kurdistan iracheno; Londra invece fornirà le strutture di comando e controllo, intelligence e supporto aereo al nuovo “esercito di terra” costituito dall’alleanza sunnita nata a Riad.

Dal canto suo la mezzaluna sciita sostenuta dal Cremlino si organizza di fronte alle mosse dei suoi diretti avversari. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov sta cercando di convincere i governi europei a non seguire la politica estera statunitense e ad allinearsi alla via diplomatica russa. Dopo il discorso tenuto a Roma, ospiterà in questi giorni a Mosca una delegazione di parlamentari francesi guidata da Thierry Mariani. Nella regione mediorientale invece Baghdad sembra decisa a far rispettare la sovranità e l’integrità territoriale del Paese. Mentre il presidente siriano Bashar Al Assad ha annunciato una visita a Teheran per il 10 gennaio volta a rinnovare la storica alleanza tra gli Ayatollah e la classe dirigente alawita. Di fatto non c’è ancora nessuna strategia comune per sconfiggere Daesh.

Tutti gli attori continuano a giocare individualmente o a gruppi ristretti la propria partita in funzione degli avversari. La lotta al Califfato sembra quasi un pretesto per ritagliarsi zone di influenza in quella parte del mondo.

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