Avanzano i jihadisti dello Stato Islamico nel nord dell’Iraq. E ai cristiani, decine di migliaia di cristiani, non resta che fuggire. Papa Francesco ha rivolto un pressante appello alla comunità internazionale perché garantisca la protezione della popolazione e aiuti agli sfollati.
Il patriarca caldeo di Babilonia, Louis Raphael Sako, il capo della più grande confessione cristiana in Iraq, ha chiesto esplicitamente un aiuto militare. "C’e bisogno di sostegno internazionale e di un esercito professionale e ben equipaggiato - ha detto - la situazione sta andando di male in peggio". I miliziani jihadisti, che sono considerati troppo violenti ed estremisti dalla stessa al Qaida, hanno preso il controllo delle zone a maggioranza cristiana situate nella piana di Ninive, in cui vivono dagli albori della cristianità: cacciati i "peshmerga", le truppe curde considerate forze di elite e che invece hanno abbandonato il terreno, hanno conquistato l’una dopo l’altra Qaraqosh, la più grande città cristiana dell’Iraq, e le aree circostanti. Sono cadute nelle loro mani Tal Kayf, Bartella e Karamlesh. I jihadisti sostengono che nell’offensiva, cominciata nel fine settimana, hanno preso il controllo di quindici città oltre alla più grande diga del Paese, quella di Mosul, e a una base militare.
In preda al terrore, migliaia di fedeli e religiosi cristiani stanno fuggendo verso il Kurdistan autonomo. Qaraqosh è una città interamente cristiana, che si trova tra Mosul, da settimane in mano ai jihadisti, e Arbil, la capitale della regione curda. "È terribile, non si può raccontare", ha detto sconsolato Joseph Thomas, arcivescovo caldeo di Kirkuk e Sulaimaniyah. Già nei giorni scorsi il patriarca di Babilonia aveva scritto al pontefice per denunciare "l’enorme tragedia" dei cristiani iracheni: "La Chiesa è completamente sola, oggi più che mai". Il patriarca caldeo ha descritto una situazione drammatica: "Ci sono 100mila cristiani sfollati, fuggiti magari con nient’altro che i loro vestiti e a piedi per raggiungere le regioni del Kurdistan. È un disastro umanitario". Le Chiese sono state occupate e le croci sono state tolte. Almeno 1.500 manoscritti sonos tati dati alle fiamme.
Nel giugno scorso, lo Stato Islamico ha preso il controllo di Mosul, la seconda città irachena. Da quel momento hanno esteso le conquiste verso altre regioni tra cui Sinyar. Quindi si sono spinti verso il sud, a poche decine di chilometri da Baghdad. E nel mirino non ci sono solo i cristiani, ma tutti coloro che sono considerati "pagani". Negli ultimi giorni è toccato agli yazidi, che i jihadisti chiamano "adoratori del diavolo" perché hanno un culto che incorpora elementi di zoroastrismo, manicheismo, ebraismo, cristianesimo e islam. A Sinyar, hanno scatenato una crisi umanitaria denunciata anche dall’Onu: i residenti sono dovuti fuggire, massacrati decine di uomini, donne, ma anche bambini; e secondo l’Unicef, sono morti anche 40 piccoli, morti di disidratazione e stenti mentre fuggivano con le famiglie sulle montagne.
Washington: "No a truppe in Iraq"
Non ha per ora conferme l'indiscrezione lanciata questa sera dal New York Times, secondo cui la Casa Bianca starebbe valutando le sue opzioni in merito alla crisi irachena. Un articolo pubblicato sul prestigioso quotidiano statunitense, che cita alcune fonti dell'amministrazione, sostiene che a Washington si stia valutando se inviare aiuti umanitari o autorizzare invece degli strike aerei.
Qualunque sia l'opzione che si sta valutando, per ora gli Stati Uniti procedono con i piedi di piombo. Un portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha ribadito un punto chiave della dottrina di Obama, spiegando che "non ci saranno truppe Usa in Iraq" e che se si deciderà per un'azione militare, sarà comunque "limitata nei suoi obiettivi".
538em;">Gli Stati Uniti pensano - lo hanno già detto più volte - che la crisi irachena non si possa risolvere con un impegno militare, e che "quella che serve è una soluzione politica". La Casa Bianca non nega però le dimensioni del dramma. "La situazione delle minoranze religiose è allarmante - ha detto Earnest -. Siamo vicini a una crisi umanitaria".
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