Ismael, il jihadista della porta accanto

I vicini del suo quartiere, la Madeleine, ancora non possono credere che quel tranquillo padre di famiglia un giorno potesse uccidere 89 persone innocenti prima di farsi saltare in aria

La casa di Ismael Omar Mostefai
La casa di Ismael Omar Mostefai

Chartres ricorda più la Svizzera che le banlieue di Parigi o di Bruxelles. Calma, pulita e ordinata, tra le sue villette a schiera in questa domenica di sole c’è chi passeggia in bicicletta o gioca a pallone. In giro nessuna donna velata o chierici dalla barba lunga. Insomma, una zona residenziale semmai noiosa, certo non un tipico focolaio di foreign fighters. Eppure qui, a novanta chilometri a sud di Parigi, per anni ha vissuto in una casetta unifamiliare, bianca, tetto scuro, Ismael Omar Mostefai, uno dei tre kamikaze della mattanza del Bataclan.

Una sorta di jihadista della porta accanto, per citare il bel libro di Khaled Fouad Allam: moglie, due fratelli, due sorelle, due figlie e perfino un cane pitbull, silenzioso e cortese, non ha mai destato alcun sospetto. I vicini del suo quartiere, la Madeleine, ancora non possono credere che quel tranquillo padre di famiglia un giorno potesse uccidere 89 persone innocenti prima di farsi saltare in aria.

"Quello che ci sconvolge più di tutti è averlo visto, ogni giorno, per anni", racconta uno di loro, circondato per ore dalle troupe di tutto il mondo. Nessuno di loro sapeva dei suoi problemi con la giustizia. Comunque tutti reati minori, guida senza patente, piccolo spaccio. E nemmeno la polizia francese, che ormai da tempo aveva perso di vista questo 29enne franco-algerino. Solo una vecchia segnalazione come "sospetto", in quanto soggetto in via di radicalizzazione. Nulla di più.

E anche gli interrogatori e i fermi di sei suoi familiari delle scorse ore sembrano non aver portato a nessuna pista concreta circa la sua rete organizzativa terroristica. E invece Omar in quegli anni cominciò ad entrare in contatto con la jihad. Secondo la stampa locale, avrebbe seguito l’insegnamento di un marocchino proveniente dal Belgio. Pare che sia volato prima in Turchia, nel 2014. E forse in Siria, l’anno dopo, prima della strage di venerdì sera. Ma la voce secondo cui avrebbe abbracciato l’islam radicale frequentando la comunità islamica locale di Luce, adiacente a Chartres, sembra oggi poco probabile.

La moschea è una palazzina anonima, all’esterno non ha alcun segno che lasci pensare che si tratti di un luogo di culto, musulmano o altro. L’imam Hamid Anigri apre la sala della preghiera ai giornalisti e alle telecamere per una insolita conferenza stampa, perfino in diretta sulla Bbc. Chiede solo loro di togliersi le scarpe. Quindi, solenne, legge il versetto del Corano in cui si spiega che uccidere un uomo è come uccidere tutta l’umanità. Sostiene di non aver mai visto nè conosciuto Omar, ma aggiunge che la moschea "è sempre aperta a tutti, anche ai giornalisti", ironizza per sdrammatizzare la tensione.

Ma sul massacro scandisce parole chiarissime: "Neanche le bestie più selvagge sono capaci di compiere atti barbarici come questi". Davanti alla stampa di tutto il mondo cerca di togliere alla sua comunità la patente di integralista: "Abbiamo circa 30/40 fedeli che frequentano questa moschea ogni giorno, un centinaio il venerdì. Ma abbiamo buoni rapporti con tutti, cristiani, giudei, protestanti. L’Islam per noi è tolleranza, cultura, rispetto". Attorno all’imam, tanti suoi fedeli annuiscono preoccupati.

Un giovane collaboratore che siede a fianco dell’Imam, in giubbotto di pelle, dà voce al sentimento di tutta la comunità islamica di Chartres: "Possiamo dirvi che oggi abbiamo paura, alcuni di noi sono stati minacciati. Temiamo che qualche folle possa vendicarsi. Noi vogliamo solo vivere in pace".

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