Silvia, Nancy, Micol e Shirel hanno dai 21 ai 24 anni. Sono italiane, ma hanno deciso di arruolarsi nell'Idf, le forze di difesa israeliane. Rischiano la vita ogni giorno non per la loro terra, ma per quella dei loro genitori. Sono solo tre dei sessanta ragazzi italiani ebrei che hanno deciso di lasciare la propria famiglia per unirsi alle trubbe d'Israele. La loro storia la racconta il Messaggero in edicola oggi. Non lo fanno per soldi, la paga è bassissima: dai 200 ai 300 euro. Per risparmiare vivono in appartamenti condivisi o nei kibbutz, particolari villaggi dove tutto è condiviso.
"Ho sempre avuto un forte attaccamento a questa terra", racconta Nancy Saada, 24 anni, di Milano. Il suo compito è qeullo di insegnare a guidare i Nagmash, mezzi da 11 tonnellate che possono viaggiare fino a 60 chilometri orari usati per trasportare soldati e feriti nelle zone di guerra. È nell' Idf da quasi due anni e a dicembre il suo servizio terminerà. I "chatal boded", ovvero "soldati soli", come vengono chiamati da queste parti, possono infatti rimanere in servizio da uno a tre anni. "Questo è un eservito in cui credo tanto - spiega Nancy al Messaggero -, dove c'è una moralità molto alta. Lavoriamo molto, la mia giornata inizia alle 7 e si chiude a sera tardi, ma qui ho trovato la mia dimensione". Da piccola è stata vittima espisodia di antisemitismo: qualcuno disegnò nel suo giardino delle svastiche, alle fermate dei pullman qualcuno scriveva "Juden Raus", "i giudei fuori". "Episodi che non posso dimenticare".
Silvia, 21 anni, torinese, è a Tel Aviv dall'aprile del 2015. Lavora nelle ambulanze con i paramedici. Ha visto corpi mutilati, cadaveri, persone in fin di vita: "Soccorriamo tutti e affrontiamo qualsiasi emergenza. Quando ho prestato giuramento ho promesso di non fare differenza tra le persone che soccorriamo. È un valore da cui non possiamo mai prescindere".
Micol Debash, 24 anni, di Roma, era addetta stampa della comunità ebraica. Adesso nell'Idf si occupa di relazioni internazionali. Shirel Sasson, 24 anni, anche lei romana, è a Tel Aviv dal 2015. Lavora nell'aeronautica israeliana, si occupa di gestire le infrastrutture de lnuovo caccia F35 acquistato da Israele in una speciale versione potenziata. "Mi sono innamorata di questo Paese", spiega al Messaggero.
"Amo Roma e tornare in Italia è sempre unico ed emozionante ma Israele è speciale. Qui mi sento più sicura e poi c'è un clima diverso: le persone mi sembrano più felici. Si lamentano meno".
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.