Negli ultimi otti mesi i tagliagole dello Stato islamico hanno venduto al mercato nero turco petrolio e gas iracheno. Un business che, grazie alla complicità di Recep Tayyp Erdogan, ha fatto fruttare al Califfato 800 milioni di dollari. I raid russi in Siria stanno, però, mettendo i bastoni tra le ruote ai turchi che, comprando l'oro nero a metà prezzo, finanziano indirettamente l'Isis contro Bashar al Assad. "Ankara - ha accusato Vladimir Putin - ha abbattuto un aereo russo per difendere i propri traffici petroliferi con l’Isis".
"Negli ultimi 8 mesi sono stati venduti al mercato nero della Turchia il petrolio e il gas iracheno per un importo di 800 milioni di dollari, in aggiunta il prezzo era la metà rispetto a quello del mercato mondiale - ha spiegato a Sputnik Mowaffak al-Rubaie, ex consigliere per la sicurezza nazionale dell'Iraq e uno dei leader della coalizione parlamentare Stato della Legge - questo è ciò che chiamiamo l'ossigeno che alimenta l'ISIS, se noi fermeremo il flusso d'ossigeno, riusciremo a soffocarlo". Mercoledì scorso il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva già accusato Ankara di aver dato l'ordine di abbattere il bombardiere russo Su-24 dopo gli attacchi dell'aviazione russa contro le infrastrutture petrolifere e le autocisterne del Califfato. Secondo i servizi segreti russi, infatti, Bilal Erdogan, figlio del premier turco, sarebbe azionista della Bmz Ltd, una compagnia di trasporti marittimi che caricherebbe greggio dell'Isis nel porto di Ceyhan e lo venderebbe su mercati asiatici. "Le aziende logistiche di Bilal Erdogan nei porti di Ceyhan (Turchia) e di Beirut (Libano) - si legge su Rossiyskaya Gazeta - hanno dei moli speciali dove le navi cisterna consegnano il petrolio di contrabbando". In rete girano, infatti, diverse foto che ritraggono Bilal Erdogan con alcuni esponenti del Califfato a Istanbul. Tanto che il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem ha accusato apertamente Ankara di aver abbattuto l'aereo russo per difendere gli interessi delle società petrolifere del figlio del premier.
Secondo un approfondimento dell'Inkiesta, il Califfato guadagna almeno 50 milioni di dollari al mese dall’estrazione e dalla vendita illegale di petrolio a prezzo di saldo. "Il petrolio viene venduto a 10, 20 dollari al barile, massimo a 40 - spiega Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali, a Lettera43 - molto meno del prezzo di mercato. E il guadagno è assicurato". Per lo Stato islamico è comunque un vero e proprio business, anche perché l'approvigionamento del greggio siriano e iracheno avviene soprattutto per via terra. "Lo Stato islamico controlla le strade e alcuni pozzi - spiega l'analista - e gestisce il traffico dei convogli di autocisterne. I trasportatori non sono necessariamente militanti o miliziani. Ormai l'Isis non è solo un movimento terrorista, ma ambisce a controllare territori e popolazioni. A questo punto se a pagare è un imprenditore o il Califfo non c'è molta differenza per chi deve mantenere una famiglia".
Una volta entrato in Turchia, il petrolio viene acquistato da società e intermediari grazie a un complicato sistema di scatole cinesi. In cambio dell'oro nero, la Turchia garantirebbe allo Stato islamico armi e supporto logistico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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