È una città spettrale, quasi deserta, quella che si prepara alla battaglia che potrebbe decidere il suo destino, forse anche quello della guerra. Kherson è un luogo silenzioso, e la quiete si sa, spesso prelude al rombo della battaglia. Il governatore della Crimea, Serghei Aksyonov, ha comunicato ieri il completamento dell’evacuazione dei civili dalla regione della città sulla foce del Dnipro. «Il lavoro di organizzazione della partenza dei residenti è stato ultimato». Sono almeno 70mila le persone che in otto giorni hanno lasciato la città e sono state portate dall’altra parte del fiume, a Olesky e nelle altre località. Kherson è pronta alla battaglia. Il primo vicecapo di stato maggiore di Putin, Sergey Kiriyenko, ieri era là per ispezionarla. I russi hanno conquistato la città nelle fasi iniziali dell’invasione e l’hanno annessa con tutta la regione dopo i referendum farlocchi di fine settembre malgrado non ne abbiano mai avuto il totale controllo. E ora cercheranno di evitare che la città capoluogo torni in mano ucraina nell’avanzata lenta ma continua dell’esercito di Kiev. Nelle ultime settimane le forze ucraine hanno riconquistato metro a metro il territorio sulla riva occidentale del Dnipro malgrado le piogge e il terreno accidentato rallentino l’avanzata dei veicoli da combattimento. Perfino il leader ceceno Ramzan Kadyrov è stato costretto ad ammettere su Twitter che nella zona 23 suoi combattenti sono morti e 58 sono stati feriti nel corso di un bombardamento dell’artiglieria ucraina. «Sono in corso i preparativi per la difesa di Kherson. Stiamo portando fuori la popolazione civile, slegandoci in tal modo le mani», dice il comandante della milizia russa Alexander Khodakovsky. Mosca ha da tempo cambiato strategia nel Sud dell’Ucraina, da offensiva a difensiva, ciò che secondo l’intelligence britannica accade perché le forze in prima linea sono «gravemente indebolite e scarsamente addestrate». Il Cremlino ha inviato un migliaio di soldati sulla sponda occidentale in preparazione della difesa. Tra essi molti dei riservisti arruolati nelle ultime settimane e addestrati in fretta e furia nell’ambito della mobilitazione parziale dichiarata lo scorso 21 settembre e che ieri il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha dichiarato completata con 300mila nuovi arruolati, 82mila già sul fronte ucraino e altri 218mila in addestramento. E che la Russia stia raschiando il fondo lo dimostra anche l’annuncio di Vladimir Putin di «nuove armi per le truppe di terra che si dimostrano valide in azione. I compiti più importanti sono in questo momento: equipaggiamento, addestramento, coesione dei cittadini mobilitati». In tutto ciò il dialogo sembra lontano. Ieri un barlume di speranza è arrivato da Pechino, dove il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, riferendosi al colloquio telefonico di giovedì tra i ministri degli Esteri di Cina e Russia, Wang Yi e Sergei Lavrov, ha riferito che Mosca si sarebbe «detta disponibile a un dialogo con Ucraina e Stati Uniti». Wang auspica che le parti «intensifichino gli sforzi diplomatici per attenuare e risolvere il conflitto al più presto» con «negoziati e altri canali politici» e per escludere l’utilizzo di «armi di distruzione di massa».
Non si sa però quanto ci si possa fidare di una potenza che non ha mai condannato l’aggressione russa dell’Ucraina e che ieri, nell’incontro tra l’ambasciatore americano a Pechino, Nicholas Burns, e lo stesso Wang Yi, ha accusato gli Stati Uniti di «interagire con la Cina dalla loro posizione di forza cercando di contenere lo sviluppo della Cina».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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