Marcello Foa è da sempre un uomo che ama andare controcorrente. Nella sua doppia veste di giornalista e di professore universitario, non si è mai adattato a ripetere quanto scritto sul copione, come del resto non amava fare il suo maestro, Indro Montanelli. Anche al convegno tenutosi a Lugano il 28 e 29 maggio in onore di Dan Segre e Luigiterzo Bosca, dedicato al ruolo delle donne nelle Primavere Arabe e nei rivolgimenti politici di Medio Oriente, decide di parlare di uno dei suoi argomenti preferiti: la comunicazione, analizzando il rapporto tra la propaganda di Isis e la reazione dei media occidentali.
Prima, però, è doveroso un omaggio alla figura di Segre, tra i fondatori del Giornale ma anche padre nobile ed ideatore dell’Istituto per gli Studi Mediterranei di Lugano, che ha convocato la conferenza. “Circa quindici anni fa, Segre ebbe l’intuizione di creare a Lugano un Istituto per gli Studi Mediterranei che, approfittando della neutralità svizzera, potesse seguire le vicende mediorientali senza essere parte in causa – ci spiega Foa - Grazie a Luigiterzo Bosca, industriale del vino, c’è stato il supporto di un imprenditore che ha recepito l’importanza di questo progetto e lo ha sostenuto. Con il congresso rendiamo omaggio all’intuizione preveggente di Segre, frutto dell’esperienza di una vita: egli è infatti stato fra i grandi esperti italiani di Medio Oriente, prima al Corriere e poi al Giornale.”
Il Medio Oriente sembra non conoscere pace, in preda a un’instabilità crescente che pare inarrestabile: quali sono le responsabilità dell’Occidente?
“Sono molte e gravi. L’Occidente ha spesso appoggiato formazioni militari con logiche strumentali senza poi essere più in grado di gestire le conseguenze dei propri atti. Isis è solo l’ultimo esempio.”
Ci può spiegare meglio?
“L’Isis era all’inizio una piccola realtà funzionale a un disegno politico: armare dei guerriglieri mercenari per rovesciare Assad. Poi la guerra con Assad è andata avanti e il piccolo gruppo terroristico – dicevano che c’erano guerriglieri moderati e guerriglieri estremisti, ma è una distinzione di lana caprina – è diventato un problema estremamente serio.”
E l’Occidente come reagisce?
“Ora che Isis ha destabilizzato tutta la regione, l’atteggiamento occidentale è sì di preoccupazione, ma senza reale volontà di risolvere il problema.”
Perché?
“Questo bisognerebbe chiederlo a Obama, a Cameron, a Hollande… a chi a chi ha avuto le leve del potere. Questo è l’aspetto molto preoccupante. In tutto questo la propaganda fa sì che il percepito dell’Isis sia molto forte in occidente perché collegato a fatti drammatici, come le esecuzioni, anche quando questi fatti sono esagerati.”
Esagerati in che modo?
“Basta guardare i video dall’Isis per accorgersi come una buona parte sia alterata e modificata in sede di montaggio. Nel filmato del pilota giordano arso vivo, ad esempio, le fiamme sembrano aggiunte al computer in sede di montaggio: se stesse bruciando veramente, quel poveretto dovrebbe contorcersi ed urlare molto di più di quanto non mostrino le immagini.”
Chi può manipolare in questo modo i documenti?
“La grande questione è una: non si sa chi produca questi video. Sono davvero video prodotti dall’Isis, o sono video prodotti da altri che hanno interesse ad attribuirli all’Isis?”
Che idea si è fatto di Rita Katz, referente di “Site”, la piattaforma da cui viene diffusa la maggior parte del materiale che porta il logo di Isis?
“Il suo è un esempio curioso: quasi tutti i video dell’Isis vengono intercettati dalla sua organizzazione e diffusi da lei. È solo molto brava o c’è qualcuno che glieli passa per farli diffondere? Nella comprensione del fenomeno mediatico Isis, un giornalista onesto deve domandarsi come mai una sola persona riesca ad accaparrarsi tutti i video. Possibile che nessun governo sia andato a recuperare Rita Katz per chiedere i video in anteprima? Poi qui mi fermo perché non ci sono certezze, ma quasi tutti tacciono, mentre io dico: è un’anomalia su cui mi piacerebbe vederci più chiaro.”
A chi spetta il compito di fare luce su questi meccanismi e di combattere il terrorismo?
“Senza dubbio all’intelligence. Abbiamo visto che la strategia e la retorica della war on terror negli ultimi anni hanno prodotto solo più danni che altro.”
In effetti la propaganda islamista sembra avere più presa che mai sull’opinione pubblica occidentale
“Nei regimi autoritari la propaganda ha sempre un ruolo di primo piano. In Occidente la paura dell’Isis viene continuamente alimentata con video ed immagini brutali diffusi dai media che la supportano senza sosta.”
Non esiste anche il rischio opposto, cioè quello di sottovalutare il rischio di Isis, quasi per partito preso? Penso ad esempio a quelle testate che si ostinavano a negare la possibilità che tra i migranti si nascondessero dei terroristi
“È un rischio naturale: questa gente viene qua, prima solo per motivi economici, ora perché scappa dalla paura, dalla guerra… Mettiamoci nei loro panni. Finché ricevono un sussidio (poi in molti casi sappiamo che non lo ricevono neanche) tirano a campare e va bene. Poi quando li vedi in giro per le città italiane, chiaramente sbandati, finiscono nelle mani della criminalità organizzata o cominciano ad odiare l’Occidente.
E quando una persona trova un oggetto d’odio, che possa pensare di passare al terrorismo, anche solo come vendetta e sfogo personale non è sorprendente. Negare questo pericolo è molto comodo per media ed istituzioni, ma è un atto di enorme irresponsabilità nei confronti dei cittadini.”- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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