Marine Le Pen ha perso. Qualunque analisi sul mancato successo del sovranismo francese non può prescindere da questo dato certo. Ovvio, una vittoria dei lepenisti era decisamente improbabile, molto più dell'affermazione alle presidenziali americane di Donald Trump. Eppure le aspettative erano tante. Un ruolo sicuramente l'hanno giocato le voci sui sondaggi segreti. Un' altra parte importante, evidentemente, l'hanno giocata le analogie degli oppositori di Marine, spesso rintracciabili nelle medesime categorie che si erano opposte all'attuale Presidente degli Stati Uniti. Sensazionalmente, dunque, pareva che il leader populista potesse vincere davvero.
Marine, però, non è il tycoon. E la Francia non è uno stato degli U.S.A. Nello specifico, il Front National ha un'eredità pesante, storicamente consolidata, che non riesce ad essere accettata dalla maggior parte dei francesi. Il distacco previsto dai sondaggi si è consolidato e questa volta le statistiche sono state più che precise.
Che avrebbe perso, insomma, se lo aspettavano in molti. Che perdesse con un distacco così siderale, però, era meno pronosticabile. Quando Il Front National è riuscito ad accedere a questo ballottaggio, la percezione era che il lepenismo avesse davanti una duplice scelta: accarezzare gli elettori di Mélenchon oppure cercare di attrarre i consensi gollisti, quelli che Fillon aveva incamerato durante il primo turno. Fare entrambe le cose, è chiaro a chiunque, avrebbe significato produrre un messaggio elettorale assolutamente confusionario e incoerente. Marine Le Pen ha provato a coinvogliare tutto, dando seguito ad una doppia linea che ha reso molto incerta la sua narrazione propagandistica in vista del secondo turno.
Ora si può dire, del resto, che Marine non è riuscita in nessuna delle due strategie. La linea di Francois Philippot di laicizzare il partito, riponendo in un angolo le battaglie sui valori non negoziabili, è forse la prima imputabile per questa sconfitta. I moderati, gli elettori liberali, quelli che storicamente hanno votato per i repubblicani e per l'Ump, non si sono evidentemente sentiti rassicurati nel votare l'espressione di un partito che ha smesso di essere chiaro riguardo alcune tematiche centrali per i cattolici. Attaccare il Papa, poi, ha fatto il resto. La strategia di marketing della rosa blu come simbolo della campagna elettorale, insomma, non ha, in fin dei conti, attratto nè l'elettorato socialista nè quello centrista. Almeno non nella misura che sarebbe servita per vincere. Anche la scelta di Dupont-Aignan come primo ministro designato, poi, sembra non essere servita: dai primi dati sembrerebbe che molti degli elettori dell'ex gollista al primo turno non abbiano votato per Marine Le Pen al secondo.
Marion Marechal Le Pen, invece, è stata la voce nel partito utilizzata per cercare di intercettare questi consensi centristi e repubblicani. Isolata, temuta dal "Cabinet secret" dal quale Marine è circondata, neppure lei è stata decisiva per conquistare i voti dei cristiani d'oltralpe. Le fratture sociali, poi, se da una parte garantiscono una base solidissima al "Front National", di contro fanno sì che pochissimi elettori presenti nelle città urbanizzate francesi, vedano di buon occhio proposte di uscita dall'Euro o dagli organi sovraistituzionali europei. La Francia, quindi, è sì divisa tra periferie e città finanziarizzate, ma resta una nazione fondamentalmente legata alla storia dell'Europa stessa, fedele al destino continentale, attenta a non parcelizzare una società già profondamente segnata da una pericolosa sommatoria fatta da jihadisti radicalizzati, degrado periferico e criminalità. Fattori difficilmente distinguibili. Una Francia alla ricerca di un De Gaulle e non di un Napoleone.
A Marine Le Pen serviva mitigare la battaglia sull'Euro e una linea complessivamente più mediana. Il sistema elettorale a doppio turno, si sa, consente larghe possibilità di vittoria a chi punta al centro, specie se con la credibilità che Macron ha saputo mettere in campo. Il partito che vince le elezioni, solitamente, è quello che intercetta l'elettore medio, il simbolo del 50% più 1 della popolazione. Gli estremi, invece, si sfaldano addosso alle frange minoritarie della società, così com'è successo tra Marine Le Pen e Mélenchon al primo turno, consentendo ai grandi raggruppamenti macrocomprensivi di navigare in acque tranquille. Ad Emmanuel Macron, in questo caso.
A Marine Le Pen, insomma, sarebbero stati necessari: un maggiore interclassismo, una visione meno raffazzonata sul futuro dell'Europa senza Francia, una grande apertura verso i voti dei gollisti e l'abbandono definitivo della critica tout court a qualunque fenomeno non fosse direttamente collegabile alla crisi economica, quindi a quella occupazionale. Nello specifico, in materia economica, Marine Le Pen si è dimostrata molto più che attaccabile. Un terzo dei voti dei francesi, comunque, data la storia del Fn, non è un risultato da buttare, ma è ancora molto meno di ciò che serve per essere maggioritari.
Marine Le Pen, in definitiva, ha permesso al Front National di entrare nell'arco costituzionale, ma da qui a vincere le elezioni, è necessario passare per un discorso in grado di coinvolgere tutti i francesi. Non solo gli sconfitti dalla globalizzazione.
Altrimenti ci sarà sempre un "barrage", un "patto repubblicano", in grado di respingere il Fn dalle competizioni elettorali. La figlia di Jean Marie sembra averlo capito: ecco annunciata la rivoluzione partitica del Fn.
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