Da Parigi a Bruxelles il naufragio degli 007

Gli oltre 160 morti e le centinaia di feriti di Parigi e Bruxelles sono la prova del naufragio dell'intelligence belga ed europea

Da Parigi a Bruxelles il naufragio degli 007

Dal 7 gennaio del massacro di Charlie Hebdo, al 13 novembre della mattanza di Parigi, al 22 marzo delle stragi di Bruxelles. Dal coprifuoco decretato nella capitale belga a fine novembre, alla fuga di quattro mesi di Salah Abdeslam. Gli oltre 160 morti e le centinaia di feriti di Parigi e Bruxelles sono la prova del naufragio dell'intelligence belga ed europea. Gli 007 belgi sono stati sommersi di critiche per i flop a ripetizione nella caccia a Salah, rimasto sempre nascosto da amici e fiancheggiatori a Molenbeek. Ma anche la collaborazione tra servizi europei si è dimostrata fallimentare. A nulla sono serviti gli inviti a "rafforzare la cooperazione" lanciati già a gennaio 2015 dai ministri degli Esteri europei, quando Paolo Gentiloni indicava le "gelosie dei servizi" come il principale problema irrisolto. Ai primi di dicembre, dopo le stragi di Parigi, è emerso che i nomi dei fratelli Abdeslam, il Brahim che si era fatto esplodere a Parigi ed il Salah che ci aveva ripensato, erano stati segnalati da mesi all'Europol. Eppure avevano viaggiato indisturbati per mesi. Ed il coordinatore dell'antiterrorismo europeo, Gilles de Kerchove, ancora a dicembre era costretto a ricordare che "la cosa più importante è rafforzare l'immissione dei dati" nel database europeo Sis II. La nascita di un servizio di intelligence europeo resta però un'utopia. A gennaio presso l'Europol è stato avviato lo Ecdc (centro di eccellenza antiterrorismo europeo).

Ma non è neppure l'abbozzo di quella Fbi europea che in realtà "non è consentita dai Trattati", che riservano ai singoli Stati le competenze in materia di sicurezza, come osservato da de Kerchove. E se anche gli attentati hanno spinto alla collaborazione diretta bilaterale tra Francia e Belgio, i servizi di informazione di Bruxelles sono sotto accusa. Troppo frammentati, incapaci di dialogare tra loro, a perfetta immagine di uno Stato federale diviso dalla lingua, con livelli sovrapposti - comunali, regionali e federali - di governo e burocrazia. Quattro giorni fa veniva celebrata come una vittoria la cattura di Salah Abdeslam. Ma veniva anche lasciato a livello 3 su 4 il livello di minaccia terroristica. Ed appena la settimana scorsa la televisione pubblica belga aveva rivelato che in un documento della Commissione P (il servizio di indagine interna della polizia) presentato in un'audizione parlamentare a porte chiuse erano emerse palesi "mancanze e debolezze", alcune delle quali persino "tecnologiche" e "rimaste irrisolte" per problemi di budget e mancanza di personale qualificato. Eppure il Belgio è il paese con il più alto numero percentuale di foreign fighter: oltre 40 per milione di abitanti, più del doppio della Francia. "I belgi hanno davvero un problema enorme.

I numeri delle persone da controllare sono semplicemente strabordanti", ha indicato Matthew Levitt, direttore del programma per l'antiterrorismo e l'intelligence del Washington Institute for near east policy. "Hanno realizzato solo nell'ultimo anno che non hanno soltanto un problema di persone radicalizzate e che ritornano nel paese, ma anche di gente che non parte e può compiere attacchi a casa".

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