Gli attentati di Nizza e di Vienna contribuiscono ad attualizzare un quesito: che tipo di rapporto può intercorrere tra cattolicesimo e l'islam? Si tratta di una domanda che interessa giocoforza anche il dialogo tra la cosiddetta "civiltà occidentale" e quella "islamica". Il terrorismo è tragicamente balzato di nuovo alle cronache, con una serie di azioni messe in atto in alcune delle principali città europee. Sono tempi questi in cui anche la Chiesa cattolica cerca di rispondere al quesito sopracitato. Papa Francesco non ha troppi dubbi: l'enciclica "Fratelli Tutti" - l'ultimo testo del pontefice argentino - è stata ispirata, tra gli altri, dall'imam di al-Azhar, che ha condannato duramente quanto avvenuto in questi giorni sul suolo europeo. Lo sappiamo perché è stato lo stesso Bergoglio a scriverlo. Eppure, nonostante il dialogo interreligioso faccia grossi passi avanti attraverso questo pontificato, una parte degli ambienti ecclesiastici continua ad avvertire l'Occidente del rischio prodotto da un'eccesiva e presunta sudditanza alla confessione ed alla cultura musulmana.
Tra chi chiede all'Europa di reagire e chi opera un giusto distinguo tra il terrorismo jihadista e la civiltà musulmana, anche gli ecclesiastici stanno prendendo posizione sul tema. Il fondamentalismo islamico esiste: su questo non si possono avere dubbi. Diverso, invece, è comprendere quali siano i confini che separano il terrorismo dall'islam moderato: linee di separazione enormi per i più; differenze non così marcate per altri. Sappiamo quanto questo focus occupi le menti degli intellettuali occidentali, con tutte le differenze di visione del caso. E gli ecclesiastici non fanno eccezione. Il cardinal Robert Sarah, che spesso dice la sua riguardo al confronto tra Occidente e islam, ha scritto quanto segue a mezzo social: "L'islamismo è un fanatismo mostruoso che va combattuto con forza e determinazione. Non interromperà la sua guerra. Noi africani lo sappiamo purtroppo troppo bene. I barbari sono sempre i nemici della pace. L'Occidente, oggi la Francia, deve capirlo. Preghiamo". Il cardinale e prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti si è spesso espresso in questi termini sull'islamismo, che sarebbe dunque un'ideologia.
Sarah si è espresso subito dopo gli attentati. Don Salvatore Lazzara, in relazione agli ultimi eventi terroristici, non le ha mandate a dire: "#Vienna: la polizia fa sapere che sono 6 i punti della città attaccati dai terroristi. I segni sono importanti per gli islamisti: simbolicamente stanno ripartendo dalla sconfitta del 1683, quando l'impero ottomano, guidato dal sultano Solimano, cercò invano di conquistare Vienna", ha scritto su Twitter. E ancora: "#Vienna: come contrastare il terrorismo? Ce lo ricordava #SanGiovanniPaoloII: "... il riconoscere esplicitamente le radici cristiane dell'Europa nel testo del Trattato costituzionale dell'#UnioneEuropea, diventa per il Continente la principale garanzia di futuro". Esisterebbero dunque strumenti di natura giuridico-culturale per evitare la proliferazione dell'islamismo. E le cose non succederebbero proprio per caso.
In termini di "schieramenti", il punto è quello che vale pure per la dottrina, per la pastorale e per le priorità che la Chiesa dovrebbe porsi: per una parte di Chiesa cattolica, ossia per il lato conservatore, il dialogo non è la corsia preferenziale. Per la maggior parte degli ecclesiastici, invece, la strada intrapresa da Jorge Mario Bergoglio - quella di una dialettica che dovrebbe persino portare alla istituzione di una giornata Onu a tema "Fratellanza universale" - è l'unica possibile. Certo, il fondamentalismo e l'islam sono due fenomeni molto diversi tra loro, ma c'è chi teme in ogni caso per la civiltà occidentale. E questo timore, anche secondo la visione di certi ecclesiastici, è legato in modo irrimediabile alla gestione dei fenomeni migratori ed alla loro declinazione.
Come evolve il dibattito tra Chiesa cattolica ed islam
Papa Francesco è per il dialogo. Per i tradizionalisti, quello del dialogo "bergogliano" è un vero e proprio "paradigma" che l'ex arcivescovo di Buenos Aires ha adottato, modificando in parte l'atteggiamento della Chiesa nei confronti delle altre confessioni, islam compreso. L'ultima enciclica firmata dal Santo Padre sarebbe parte di un processo. La dichiarazione sulla Fratellanza universale firmata con l'imam di al-Azhar è forse il passo più importante nella direzione individuata dal Santo Padre. La "lezione" di Ratisbona di Joseph Ratzinger è ormai solo un ricordo. E i rapporti che si erano incrinati tra istituzioni religiose si sono riallacciati e consolidati grazie all'impostazione del primo Papa gesuita della storia. Ma con tutto questo dialogare, la Chiesa non rischia di lasciare per strada qualcosa in termini d'identità? Lo abbiamo domandato ad un ecclesiastico italiano, che ha tuttavia preferito rimanere anonimo. Secondo il nostro interlocutore, prima di addentrarsi nell'argomento serve una precisazione: "Cosa intendiamo per dialogo? Se dialogo tra le altre fedi religiose, delle religioni del libro e le fedi Abramiche, Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Oppure se si parla del dialogo con il mondo secolarizzato e della secolarizzazione in questa fase attuale e del suo processo. Le cose sono distinte e da distinguere per formulare un’analisi più oggettiva possibile".
Il dialogo non è sempre uguale a se stesso. Veniamo dunque alle due fattispecie complete: "Nel primo caso - ragiona a voce alta la nostra fonte anonima - il rischio, più di essere sottomessi è di fare il gioco di coloro che vorrebbero ridurre tutte le religioni ad una stessa unità. Nel secondo caso - continua la stessa - il rischio di un dialogo con la società laica, il dialogo si è già risolto ad una sottomissione a quello che è una cultura e a quelle che sono le istanze, le imposizioni della civiltà attuale dominata da una visione scientifico tecnologico da assumere come dogmatica e governata da entità sovrannazionali (istituzioni a vario livello) che si impongono a tutti i livelli. Anche la Chiesa sembra non debba contrastare, almeno in un certo modo, a ciò che è un comando assoluto. In questo caso il dialogo finisce e diventa accettazione. Le sacre scritture, la tradizione e il Magistero rimangono i tre punti fermi fondamentali dove confrontarsi". Ci troveremmo, insomma, dinanzi ad una sorta di accettazione passiva delle spinte culturali che provengono da al di fuori della civiltà occidentale e non solo. Un modo di fare che potrebbe persino comportare una sorta di "sottomissione", per dirla con Michael Houllebecq.
Il rischio "sottomissione"
"Per taluni il rischio è concreto, di una sottomissione di ordine religioso. Per altri il rischio è di creare una omologazione fra tutte le fedi religiose attraverso un ecumenismo malamente inteso, come secondo alcune 'interpretazioni' del documento di Abu Dhabi, per cui alla fine se tutte le religioni sono uguali, e hanno pari dignità e sullo stesso livello, nessuna risulta sostanzialmente valida o vera". A parlare è ancora la nostra fonte anonima, che circoscrive ancora meglio il problema. La dichiarazione di Abu Dhabi è quella in cui, stando al parere di alcuni tradizionalisti come il vescovo kirghiso Athanasius Schneider, Bergoglio avrebbe equiparato gerarchicamente cristianesimo ed islam. E questo, in punta di dottrina, non sarebbe possibile. Il rischio sarebbe dunque quello di sottomettersi ad una narrativa che prevede che ci si possa salvare sia mediante la confessione religiosa cristiana sia attraverso quella islamica.
La diversità tra relgioni non può essere voluta da Dio. Questa è la ratio di chi sostiene che si debba ribadire una verità dottrinale: quella secondo cui solo la fede cristiana darebbe accesso alla salvezza. Altrimenti - dicono da parte tradizionalista - si genera "confusione". Ma gli attentati - quelli degli ultimi giorni - hanno modificato qualcosa del rapporto tra istituzioni cristiane ed istituzioni musulmane? E in termini culturali è prevedibile che a breve l'Occidente abbia un qualche tipo di scatto in avanti?
Le prospettive del rapporto tra cristianesimo e islam
Padre Abbè Guy Pàges è un sacerdote francese, un teologo, incaricato presso la diocesi di Parigi. Quella dove l'arcivescovo è il pro life Michel Aupetit. Pàges si occupa da anni di islam. Contattandolo per capire meglio quale sia ad oggi la prospettiva del rapporto tra la confessione musulmana e quella cristiana, padre Pagès, che risponde in primo luogo ad un quesito relativo agli effetti degli ultimi attentati in materia di dialogo, sgombra subito il campo da ogni dubbio: " Purtroppo - ci dice -, non credo che il rapporto tra cattolicesimo e islam sia cambiato dopo questi recenti attacchi. Non è cambiato dopo gli attacchi al Bataclan che hanno provocato 137 morti e 413 feriti nel 2015, né dopo l'omicidio di padre Hamel e l'attacco di Nizza che ha provocato 87 morti e 434 feriti nel 2016. Non è cambiato o nonostante la persecuzione quotidiana e istituzionale in tutti i paesi musulmani, che ha causato, ad esempio, 1.202 morti nella sola Nigeria nella prima metà del 2020 ...". Inutile girarci troppo attorno: non sono e non saranno le azioni dei jihadisti a compromettere la dialettica tra il Vaticano e le istituzioni musulmane. E quel "purtroppo" di padre Abbè potrebbe non essere condiviso da buona parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Ma il consacrato che abbiamo voluto interpellare ne fa una questione complessa, che interessa tanto il piano dottrinale quanto quello strategico: "Modificare il rapporto - continua - comporterebbe una messa in discussione troppo umiliante dell'irenismo ecclesiale che incoraggia l'immigrazione di massa ed era colpevole dell'islamizzazione dell'Occidente, un peccato mortale che svuota le chiese e riempie le moschee, e 'Inferno ... Pochi vescovi vogliono scacciare l'Islam come il buon pastore scaccia il lupo. Se l'Islam è una religione voluta da Dio, come ha dichiarato Francesco (cfr. Dichiarazione sulla fratellanza umana), perché resistervi? E come si può dire che la Chiesa cattolica sia l'unica vera religione?". Le alte gerarchie della Chiesa, insomma, non avrebbero nessuna intenzione di tornare indietro sui loro passi. E questo comporterebbe una serie di effetti. "Queste sono le comunità tradizionali. È un caso che siano stati loro, e non i vescovi, ad ottenere dal Consiglio di Stato la revoca del divieto di culto pubblico promulgato dal governo francese durante la lotta al Covid-19?". Il presupposto del sacerdote che abbiamo intervistato è che con l'islam non si possa dialogare. Si tratta di una posizione forte, ma è anche quella di molti altri "tradizionalisti".
Il "problema" dell'islam moderato
L'assunto da cui spesso partono i tradizionalisti è che un islam moderato non esista. Una posizione su cui non tutti concordano, anzi. Esiste più di un indizio per sostenere l'esatto contrario. E i passi in avanti fatti da papa Francesco riguardano pure una ferma condanna da parte delle autorità religiose islamiche del terrorismo. No che Bergoglio abbia ottenuto questo (era già vero prima), ma quando la massima autorità cattolica incontra quelle islamiche, spesso vengono sottolineati questi aspetti di condanna del jihadismo. Tuttavia i tradizionalisti non intravedono grossi distinguo. E padre Abbè ci ha detto quanto segue: "Senza l'Islam non c'è l'islamismo. Il presidente della Turchia ha detto senza mezzi termini: 'L'espressione 'Islam moderato' è brutta e offensiva. Non esiste un Islam moderato. Islam is Islam (Kanal D TV, agosto 2007) ".
La distinzione tra Islam moderato e radicale non si basa su alcuna differenza fondamentale poiché entrambi si riferiscono allo stesso Allah, allo stesso Corano, allo stesso Maometto". Si tratta di due visioni del mondo distinte, e per ora a trionfare è stata la linea di papa Francesco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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