Quando Donald Trump nello scorso mese di dicembre ha annunciato il ritiro delle truppe Usa dalla Siria, non ha tenuto conto forse di una variabile: lasciare i curdi in balia di Erdogan.
Del resto il territorio in cui attualmente si trovano i soldati di Washington, è quello ad est dell’Eufrate quasi per intero occupato dalle forze filo curde dell’Sdf. Qui si trova Baghouz, l’ultima roccaforte dell’Isis, così come anche Raqqa, ossia la città che, durante il regno del terrore del califfato assume il ruolo di capitale del sedicente Stato Islamico.
Un accordo non scritto, ma al tempo stesso nemmeno così misterioso, tra Usa e Russia prevede la divisione della Siria in due aree di influenza: ad ovest dell’Eufrate è Mosca a garantire gli equilibri appoggiando l’esercito regolare che oramai (Idlib a parte) ha ripreso gran parte del territorio, mentre ad est del fiume sono gli americani ad esercitare maggiore influenza appoggiando per l’appunto i filo curdi.
Tra le milizie che compongono l’Sdf, figurano anche i gruppi del Ypg e dunque dei curdi che all’inizio della guerra civile siriana danno vita al sogno della regione del Rojava. Il Ypg è però fortemente inviso ad Erdogan: il presidente turco ritiene questi miliziani molto vicini al Pkk, ossia al gruppo curdo che opera in Turchia e che da Ankara, così come da Washington e Bruxelles, viene considerato terrorista.
Dunque per il governo turco avere lungo i propri confini miliziani curdi che controllano un’intera regione, viene considerato un grave pericolo. Per questo ad inizio 2018 Erdogan, con il tacito assenso russo, ha deciso di invadere il cantone curdo di Afrin ed evitare così la continuità territoriale del Rojava.
Con gli Usa fuori dai giochi però, il presidente turco appare intenzionato a replicare anche a Manbji ed in altre aree sotto il controllo curdo la stessa operazione portata a termine ad Afrin. Al Pentagono in questi mesi in tanti provano a dissuadere Trump dalla decisione di ritirare tutte le truppe Usa dalla Siria.
Troppo elevato il rischio di assistere a nuove incursioni di Erdogan, il quale nel frattempo (con l’avvallo di Baghdad) già da mesi invia le sue truppe oltre il confine iracheno per stanare gli alleati locali del Pkk.
Da questa constatazione dipende molto probabilmente il dietrofront annunciato nelle scorse ore dalla Casa Bianca: 150 soldati americani a breve verranno inviati in Siria per iniziare pattugliamenti congiunti del confine con le truppe turche.
Si tratta molto probabilmente di un compromesso tra Washington ed Ankara volto sia ad evitare fughe in avanti di Erdogan, così come ad evitare altre escalation nei rapporti tra Usa e Turchia i quali, specialmente negli ultimi mesi, appaiono decisamente deteriorati.
Il pattugliamento congiunto confermato anche in un articolo del New York Times, fa sì che Ankara non rivendichi più sia il diritto ad attuare altre operazioni in territorio siriano e sia la possibilità di istituire una cosiddetta “zona cuscinetto”.
Negli Usa comunque, come conferma la Cnn, non tutti sono propensi a parlare di cambio di strategia da parte di Trump in Siria. Il presidente americano probabilmente considera questa soluzione solo temporanea, in attesa poi di rimettere in discussione la permanenza di proprie truppe nel paese mediorientale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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