I cittadini della Polonia potrebbero essere chiamati alle urne il prossimo autunno, per un referendum generale che riguarderà l’adesione del paese all’Unione Europea e alla Nato, e la supremazia del diritto nazionale su quello comunitario.
La Costituzione polacca attribuisce alla Dieta e al presidente, con l’approvazione del Senato, il potere di indire un referendum generale su “questioni di particolare importanza per il paese”. Il presidente conservatore Andrzej Duda intende ricorrere a tale prerogativa per consultare i cittadini in merito alla riforma del Testo costituzionale del 1997. L’idea del capo dello Stato è di indire il referendum il prossimo 11 novembre, in concomitanza con il Giorno dell’indipendenza, che commemora l’anniversario del restauro della sovranità nazionale nel 1918.
Il 12 giugno scorso Duda ha presentato un elenco di 15 quesiti, discussi durante una riunione del Consiglio nazionale per lo sviluppo. Pochi giorni più tardi, il presidente ha precisato che i quesiti non saranno più di dieci. Uno tra questi proporrebbe ai polacchi l’inserimento nel Preambolo della Costituzione di un riferimento alla “millenaria eredità cristiana” del paese. Una seconda proposta di emendamento della Carta riguarderebbe la garanzia costituzionale dell’adesione all’Unione Europea e alla Nato. Un’altra delle potenziali modifiche costituzionali, cruciale anche alla luce del duro scontro in atto tra il governo polacco e Bruxelles, espliciterebbe la supremazia del diritto nazionale su quello europeo comunitario.
L’iniziativa di Duda giunge in un pessimo momento per l’Europa, mai così frammentata e sotto pressione per l’effetto combinato delle divisioni interne sull’immigrazione, e del braccio di ferro commerciale con gli Stati Uniti del presidente Donald Trump. Il referendum si preannuncia inoltre un fattore di ulteriore deterioramento delle relazioni tra Varsavia e Bruxelles, guastatesi dopo le elezioni parlamentari del 2015 e l’ascesa al governo del partito nazionalconservatore Diritto e giustizia, di cui è esponente lo stesso Duda. Le riforme dell’informazione e del sistema Giudiziario intraprese dal nuovo governo polacco hanno suscitato una durissima reazione da parte dell’Ue, che ha addirittura accusato Varsavia di attentare ai valori europei. Il governo polacco e il suo presidente hanno replicato evidenziando come ad oggi la magistratura goda in quel paese di assoluta autoreferenzialità, ed hanno accusato l’Ue di “ipocrisia”. Duda, in particolare, ha sottolineato che la riforma della Giustizia contestata dall’Ue adotta a modello i regolamenti e i sistemi di equilibrio tra poteri vigenti in diversi altri paesi europei e negli Stati Uniti. Lo scorso dicembre Bruxelles è ricorsa contro Varsavia all’attivazione dell’Articolo 7 dei trattati europei, che potrebbe culminare nella sospensione del diritto di voto della Polonia in sede comunitaria. La misura, senza precedenti nella breve storia dell’Europa Unita, non ha piegato Varsavia, forte anche del sostegno degli altri paesi del “Gruppo di Visegrad”: Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Il premier ungherese Viktor Orban, in particolare, ha già annunciato che Budapest si opporrà all’attivazione dell’Articolo 7, che necessita del voto unanime dei paesi Ue.
La partita che potrebbe giocarsi tra pochi mesi, con il referendum voluto da Duda, non sembra affatto tesa a conseguire una uscita della Polonia dall’Ue, in una ipotetica riproposizione del voto britannico che ha innescato la “Brexit”. Del resto, stando agli ultimi sondaggi effettuati da Eurobarometer, circa il 70 per cento dei cittadini polacchi è favorevole alla permanenza nell’Ue, anche se non a spese di un’apertura all’immigrazione dai paesi musulmani o della rinuncia anche parziale all’identità nazionale. Per quanto riguarda la Nato, Varsavia ne è forse la più entusiastica sostenitrice, dato il suo turbolento passato segnato da occupazioni e dominazioni straniere. Come dichiarato dal presidente Duda, il referendum del prossimo autunno punterebbe piuttosto a “rafforzare” la presenza e la voce del paese in sede europea. La Polonia, al pari degli altri paesi del blocco di Visegrad e del nuovo governo Austriaco, pare decisa a guidare un riorientamento del codice di valori condivisi dell’Ue in senso identitario e nazionale.
Questa sfida di ordine valoriale reca in sé il germe di una crisi potenzialmente più grave della Brexit per la tenuta dell’attuale impianto europeo. Il processo di integrazione promosso dall’Ue, infatti, è predicato ad oggi proprio sull’assunto dell’omologazione e sul superamento delle identità nazionali. Negli ultimi anni, però, l’avanzata del fenomeno comunemente descritto come “populismo” ha evidenziato una crescente resistenza da parte delle comunità nazionali al processo di confluenza identitaria caldeggiato da Bruxelles. L’Europa Orientale, e il Gruppo di Visegrad in particolare, sono ormai divenuti i capifila dell’opposizione all’idea di Europa come “superstato” sovranazionale. Si tratta di una posizione comprensibile, dati i tragici trascorsi storici di quei paesi, che da appena un quarto di secolo si sono liberati dal dominio comunista. La Polonia, in particolare, ha visto il suo paese svanire del tutto nel corso degli ultimi due secoli, avendo perduto la propria sovranità sia nei confronti della Germania che della Russia. Non sorprende, in questo senso, che Duda sia giunto a paragonare i dettami dell’Unione Europea alle passate occupazioni subite dal suo paese, e che il premier ungherese Orban abbia definito l’idea stessa di un “super-Stato” europeo un “incubo delirante”.
La posizione della Polonia e dei suoi vicini è ben sintetizzata dalle parole pronunciate proprio dal presidente Duda lo scorso gennaio, durante un discorso rivolto agli ambasciatori stranieri presso il palazzo presidenziale di Varsavia: “L’Europa è e dovrebbe essere forte del volere dei suoi popoli, che le istituzioni comunitarie dovrebbero servire”, ha detto Duda. “Rovesciando questa gerarchia, e ponendo le istituzioni al di sopra delle nazioni, distorciamo il giusto ordine delle cose. La conseguenza di una simile aberrazione è l’allontanamento delle società dall’idea di una Europa comune, un fenomeno che possiamo osservare nell’esito di una serie di elezioni tenutesi negli Stati membri nel corso del 2017”. Duda ha risposto in quell’occasione anche alle accuse di Bruxelles, secondo cui il governo conservatore polacco violerebbe i valori comunitari: “Chiunque si attribuisca il monopolio nella definizione di ciò che l’Europa dovrebbe essere, senza chiedere il parere altrui e senza tenere in debita considerazione la loro opinione, è un usurpatore dell’idea stessa di Europa”, ha affermato il presidente polacco.
Va sottolineato infine come la Polonia in particolare, e più in generale i cosiddetti “populismi” europei, trovino un forte alleato negli Stati Uniti di Donald Trump. Proprio a Varsavia l’inquilino della Casa Bianca ha rivolto lo scorso anno una poderosa esortazione alla Civiltà occidentale a ritrovare l’orgoglio di sé stessa. “Il quesito fondamentale dei nostri tempi – ha detto Trump durante il suo discorso a piazza Krasinski, lo scorso luglio – è se l’Occidente abbia la volontà di sopravvivere. Abbiamo sufficiente fiducia nei nostri valori da difenderli a qualsiasi costo? Abbiamo abbastanza rispetto per i nostri cittadini da proteggere i nostri confini? Abbiamo il coraggio di preservare la nostra civiltà di fronte a quanti vorrebbero sovvertirla e distruggerla?”.
Un passaggio del discorso di Trump, in particolare, suona come un attacco diretto all’attuale impalcatura dell’Unione europea: i cittadini del Vecchio continente, ha detto il presidente, “devono far fronte a un altro pericolo, stavolta interno. Tale pericolo (…) è l’insinuarsi incessante della burocrazia di governo che prosciuga la vitalità e la ricchezza dei popoli”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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