Se riuscissimo ad estirpare il cancro dello Stato islamico, il Medio Oriente conoscerebbe la pace? È facile ipotizzare che quel caos e quella violenza che attanagliano il Medio Oriente non evaporerebbero con la sconfitta dell’Isis. La storia potrebbe aiutarci a comprendere ancora di più quanto stia avvenendo nella Regione attualmente più turbolenta del pianeta. Dopo la fine del colonialismo europeo, tutte le strutture nazionali e gli stessi confini creati dalle superpotenze, iniziarono lentamente a collassare. Quel caduco status quo (imposto con le armi dagli occidentali) scatenò potenti forze centrifughe che sciolsero quel collante che teneva insieme popolazioni di etnia e religione diversa. Quel processo di “Occidentalizzazione” fu inghiottito dall’antico malcontento, ingiustizie, frustrazioni settarie e violenze di ogni genere di milioni di persone: musulmani sunniti, sciiti, alawiti, cristiani e le grandi popolazioni curde etniche nel nord della Siria e dell'Iraq. Sarebbe opportuno ricordare un momento cruciale della storia recente. Nel maggio del 2003, Paul Bremer, allora capo dell'autorità occupazionale Usa a Baghdad, sciolse l'esercito iracheno. Migliaia di ufficiali sunniti ben addestrati, si ritrovarono senza lavoro e derubati della loro vita con un tratto di penna. Dietro la figura di Abu Bakr al-Baghdadi, lo Stato islamico annovera numerosi elementi di primo livello che hanno servito sotto Saddam. Lo stato maggiore dell’Isis è formato da ex soldati tra ufficiali, agenti segreti e funzionari dell’antiterrorismo del rais. Con quella decisione, Bremer diede vita al più acerrimo nemico degli Usa della storia recente. E forse in quel momento nacque lo Stato islamico. Oggi quel “tratto di penna” è considerato un danno irreparabile. La storia è ricca di eventi ciclici: i medesimi, questi ultimi, si ripresentano con attori diversi. Saddam Hussein ed i sunniti (minoranza nel Paese) trucidarono migliaia di sciiti (la maggioranza nel paese). Dopo aver rimosso Saddam e sradicato le sue strutture dal partito Baath, Washington costituì un nuovo governo fondamentalmente controllato dagli sciiti. Questi ultimi, naturalmente, ignorarono le esigenze ed i diritti dei sunniti. Così mentre da un lato l'esercito americano stentava a controllare ancora il paese, dall’altro i radicali sunniti si ritrovarono sotto la bandiera di al-Qaeda, in Iraq, contro le forze USA, i sunniti moderati e la maggior parte degli sciiti. Il 2011, con l’uscita di scena degli USA, è considerato un anno cruciale per al-Qaeda. Proprio in quell’anno, l’organizzazione terroristica fece proseliti nelle regioni sunnite dell'Iraq, evolvendosi nello Stato Islamico, organizzazione estremista che si alimentò anche del vuoto creato dalla guerra civile nella vicina Siria. Il problema è di carattere concettuale: il credere che lo Stato islamico possa essere un fenomeno geo-localizzato, inteso come uno scacchiere dove far muovere gli eserciti come fossero pedine. L’Isis non ha un esercito regolare ed annovera migliaia di guerriglieri spinti dalla medesima radice comune: la privazione dei diritti civili. Assad, alawita, non si è mai fatto scrupoli a governare con l’esercito sulla maggioranza sunnita, così come Saddam fece con gli Sciiti. C’è poi quella costante fissa chiamata etnia curda (alleata USA) presente in Iraq, Siria ed Iran. Stati Uniti che sostengono i curdi e quel PKK, gruppo di sinistra che da trent'anni combatte contro il governo turco.
Appare evidente per porre fine al caos Medio Orientale sarebbe opportuna quella auspicata ed a più riprese proposta "piattaforma di stabilità politica" che preveda da un lato, il reinsediamento delle grandi popolazioni fuggite dalle guerre in Iraq ed in Siria e dall’altro una serie di compromessi e concessioni che in centinaia di anni non sono mai state garantite.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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