Le immagini dell'ennesimo, ma presunto attacco chimico attribuito al regime siriano che avrebbe colpito, sabato notte, la roccaforte ribelle di Douma sono, come sempre, strazianti. Il problema è se siano anche vere. Negli ultimi 15 anni le armi chimiche, vero incubo dell'umanità, sono servite anche a demonizzare dittatori e nemici scomodi. Ma quest'uso improprio si è rivelato, dai tempi di George W. Bush fino a quelli di Theresa May, un pericoloso boomerang capace di minare la credibilità di governi e capi di Stato.
Lo sa bene l'ex segretario di Stato Colin Powell che nel febbraio 2013 si presentò al Consiglio di Sicurezza dell'Onu agitando una fialetta bianca spacciata per campione dei veleni di Saddam Hussein. Il colpo di teatro giustificò l'invasione dell'Iraq, ma il mancato ritrovamento dei depositi chimici contribuì poi a demolire la credibilità della grande potenza americana. In Siria, invece, il boomerang della propaganda alimentata a colpi di paura chimica ha messo a dura prova l'affidabilità di Barack Obama. Nell'agosto del 2013, dopo un primo presunto attacco a Ghouta attribuito al regime siriano il presidente si disse deciso a colpire Damasco. Ma le indagini condotte da Cia e alleati inglesi confrontando i campioni prelevati in Siria con quelli degli arsenali chimici di Assad in loro possesso costrinsero Obama ad un umiliante retromarcia.
A Donald Trump non è andata meglio. Il 6 aprile 2017, dopo un altro presunto attacco chimico alla cittadella di Khan Sheikoun, controllata dalla costola siriana di Al Qaida, il presidente ordinò il lancio di una cinquantina di missili Tomahawk sulla base area siriana di Shayrat. La decisione fu presa nonostante il parere contrario degli esperti della Cia convinti che sull'episodio non esistessero elementi certi. Lo stesso segretario alla Difesa statunitense James Mattis ha smentito recentemente tutte le certezze sulle responsabilità siriane sia nell'episodio del 2013, sia in quello nel 2017. «Abbiamo rapporti dal campo di battaglia da parte di chi sostiene che siano state usate, ha dichiarato Mattis lo scorso 2 febbraio - ma non abbiamo alcuna prova». Le accuse dei ribelli non sarebbero, insomma, mai state dimostrate.
L'ultima a rischiare i contraccolpi della propaganda chimica è Theresa May. Gli esperti del governo inglese stanno infatti demolendo le certezze di una premier durissima nel denunciare la responsabilità della Russia di Vladimir Putin nell'avvelenamento dell'ex spia Sergei Skripal e di sua figlia Yulia grazie al Novichock, il letale agente nervino prodotto ai tempi dell'Urss.
Gary Aitkenhead, capo dei laboratori governativi di Porton Down, sostiene infatti che - per quanto la sostanza usata sia una variante militare del Novichock - le analisi non consentono d'identificarne l'origine. La Russia e Vladimir Putin potrebbero dunque non c'entrare niente. Con buona pace di Mosca e dei sessanta diplomatici espulsi dall'Italia e dagli altri paesi dell'Unione Europea.
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