Si chiama “Saudi Connection”: è il patto bilaterale siglato tra Ibn Saud e Roosevelt nel 1945, pochi giorni dopo Yalta. Un giro di affari militari, petroliferi, e di investimenti esteri che da oltre settant’anni lega Washington e Riad, capitale della roccaforte sunnita della regione. Un accordo diplomatico ancora in vigore che in poche parole si traduce così: in cambio dell’installazione di basi militari nella penisola arabica, l’Arabia Saudita è diventato l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Come si è visto nella recente questione siriana, gli obiettivi della famiglia Saud sono diventati gli stessi della Casa Bianca. Soprattutto perché nella guerra in Siria, grande alleata dell’Iran khomeinista, è in gioco l’egemonia religiosa oltre che politica. Più che Oriente e Occidente, sono sciiti e sunniti a contendersi il primato in tutta la regione. Se da un lato Teheran, alleato a sua volta con la Russia di Vladimir Putin, difende economicamente e militarmente Bashar Al Assad, dall’altro Riad, lavora meticolosamente per la sua estromissione. In un primo momento il Califfato aveva ricevuto un forte sostegno finanziario dall’Arabia Saudita, tuttavia l’evoluzione del conflitto, soprattutto dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre, ha costretto Washington nel cambiare strategia e combatterlo, seppur timidamente, con i suoi alleati occidentali. Per questo motivo anche la monarchia del Golfo sembra essersi allineata alla politica estera morbida degli Usa decidendo di percorrere una via più democratica - che però non vuol dire legittima – per sconfiggere una volta per tutte il leader alawita.
È iniziata oggi proprio nella capitale saudita la riunione delle forze dell’opposizione siriana. L’obiettivo della conferenza - annunciata per ieri, ma alla fine iniziata stamani - è presentare un fronte unico anti-governativo ai prossimi colloqui internazionali sulla Siria e in eventuali negoziati con il regime di Bashar al Assad. All’appuntamento partecipano 65 esponenti, compresi la Coalizione Nazionale Siriana (principale gruppo dell’opposizione all’estero fondato per altro ad Doha) e il Comitato di coordinamento delle forze del cambiamento democratico (opposizione interna e quindi tollerata dal governo Damasco) così come l’Esercito Libero Siriano (reggimento fondato a Istanbul e composto da pochi disertori dei lealisti e tanti mercenari). Oltre ai maggiori avversari del governo siriano, vale a dire i rappresentanti dello Stato Islamico e di Jabhat Al Nusra, gruppo affiliato ad al Qaeda, sono stati esclusi dalla conferenza anche i curdi, probabilmente per aver collaborato militarmente con la Russia e con l’esercito di Bashar Al Assad, i quali di fatto si sono riuniti ieri per iniziativa del partito dell'Unione democratica curda nella provincia di Hasaka, nel nordest della Siria, per un incontro parallelo a quella delle forze di opposizione a Riad. Preoccupa invece che siano considerati gruppi dell’opposizione siriana anche raggruppamenti militari di matrice salafita come l’Esercito dell’Islam (o Fronte Islamico) che vuole creare in Siria un “emirato governato dalla legge della sharia” appoggiato economicamente e militarmente dall’Arabia Saudita e che prenderanno parte alla riunione.
Nato nel 2013 nato per contrastare al Qaeda, il gruppo è guidato da Zahran Alloush, leader della brigata Liwa Al Islam e riunisce 50 gruppi armati e migliaia di combattenti. Il padre di Alloush è un religioso salafita che vive proprio a Riad, il quale aveva rilasciato questo messaggio su internet: “Gli sciiti e gli alawiti (come Assad, ndr) vogliono prevenire la nascita di uno Stato simile a quello degli Omayyadi.
Vi porto buone notizie, sporchi sciiti: proprio come i figli degli Omayyadi vi hanno distrutto nel passato, così noi vi schiacceremo ora”. Proprio questo gruppo potrebbe far parte del futuro del Paese, grazie al patrocinio della famiglia Saud e al sostegno silenzioso di Stati Uniti ed Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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