New York. Assolto. Donald Trump, il primo presidente americano ad essere messo in stato d'accusa due volte e ad affrontare un procedimento di impeachment dopo aver lasciato la Casa Bianca, è stato giudicato innocente dall'accusa di incitamento all'insurrezione in merito all'assalto al Campidoglio del 6 gennaio. «É stata l'ennesima puntata della più grande caccia alle streghe nella storia del nostro Paese. Nessun presidente ha mai vissuto niente del genere» ha commentato l'ex Comandante in Capo. «I nostri avversari non possono dimenticare i quasi 75 milioni di persone che hanno votato per me, il numero più alto di sempre per un presidente in carica» ha aggiunto. A favore della condanna ci sono stati 57 voti, di cui sette repubblicani, mentre i no sono stati 43. Sin da subito l'ipotesi che Trump venisse condannato era sembrata improbabile: dovevano infatti essere 17 i senatori del Grand Old Party disposti a unirsi ai democratici in modo da raggiungere il quorum dei due terzi necessario. A seppellire ogni residua speranza dell'Asinello è stato il leader della minoranza Gop al Senato, Mitch McConnell, che aveva condannato pubblicamente Trump per aver istigato l'assalto al Congresso, ma ieri mattina ha inviato un'email ai colleghi di partito in cui annunciava che avrebbe votato per l'assoluzione sposando la tesi difensiva dell'incostituzionalità dell'impeachment contro un presidente già decaduto, ritenendo che si tratta «principalmente di uno strumento per la sua rimozione» e che il Senato non ha quindi giurisdizione. Pur precisando che «la Costituzione stabilisce chiaramente come i delitti di un presidente commessi nel corso del suo mandato possano essere perseguiti dopo che lascia la Casa Bianca» I democratici hanno tentato il tutto per tutto chiamando quello che ritenevano potesse rivelarsi il teste chiave, ma alla fine hanno rinunciato per evitare un prolungamento fiume del processo, col rischio di oscurare l'agenda di Joe Biden. Quando tutti si attendevano una chiusura senza scossoni di un procedimento lampo durato appena cinque giorni, il capo dei manager della Camera con funzioni da pubblici ministeri, il deputato dem Jamie Raskin, ha chiesto e ottenuto di citare come testimone la collega repubblicana Jaime Herrera Beutler che aveva rivelato quanto riferitole dal leader Gop alla Camera, Kevin McCarthy, ossia che Trump si era schierato dalla parte dei rivoltosi durante l'attacco al Campidoglio. In una telefonata durante l'assalto tra McCarthy e Trump, ha spiegato, l'ex presidente si rifiutò di fermarli: «Kevin, penso che quelle persone siano più arrabbiate di te per le elezioni» avrebbe detto The Donald, mostrando indifferenza per le violenze.
L'obiettivo dei democratici era quindi quello di dimostrare la particolare gravità delle responsabilità del tycoon relativamente alla tempistica dell'assalto. La possibile citazione dei teste ha seminato però il caos in aula ed evocato lo scenario di uno slittamento anche di giorni del processo. La difesa ha infatti minacciato di chiamare almeno 100 testimoni, dalla speaker della Camera Nancy Pelosi alla sindaca dem della capitale Muriel Bowser.
A quel punto dopo un paio d'ore di discussione le parti hanno raggiunto un accordo per sostituire la deposizione della deputata con l'acquisizione delle sue dichiarazioni e di rinunciare ad altre testimonianze. Dopo una sessione ad alta tensione con le arringhe di difesa e accusa, il secondo procedimento contro l'ex presidente americano si è avviato così verso la conclusione.
La sentenza apre ora un nuovo capitolo sul destino dell'ex Comandante in Capo, ma anche del Gop: Trump, salvo sorprese sul fronte giudiziario, potrà ricandidarsi nel 2024 e il partito repubblicano, che per ora ha scelto di non abbandonarlo, rischia nuove spaccature interne.
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