Seul, destituita la presidentessa plagiata

Abusi e corruzione: votato l'impeachment per Park Geun-hye. Due morti negli scontri

Seul, destituita la presidentessa plagiata

La corsa è finita. Dopo mesi di tira e molla, pressioni istituzionali e manifestazioni di piazza la presidentessa sudcoreana Park Geun-hye è stata costretta alle dimissioni per uno scandalo che sembra uscito da un libro di Le Carré. Ieri la Corte Costituzionale ha votato per la sua destituzione, confermando il voto del Parlamento che il 9 dicembre scorso l'aveva messa sotto accusa.

La decisione della Corte è stata unanime: gli otto giudici del collegio si sono espressi in favore dell'impeachment. Alle 11 del mattino il presidente della Corte Costituzionale, Lee Jung-mi, ha letto in diretta le motivazioni della decisione, mentre fuori dal palazzo si ammassavano i dimostranti. «La presidentessa Park ha alterato lo spirito della democrazia e il dominio delle legge. Dobbiamo proteggere la Costituzione. I benefici nel rimuoverla da suo incarico sono maggiori di quelli che si avrebbero mantenendola in carica». La Corte infatti ha sottolineato come in questi mesi la presidentessa avrebbe potuto risolvere la situazione, ma invece ha cercato di nascondere le sue colpe «tradendo la fiducia del popolo». Dopo la lettura del verdetto nella capitale ci sono stati incidenti tra dimostranti pro-Park e polizia nei pressi del palazzo della Corte Costituzionale: due persone sarebbero morte e altre cinque ferite.

Con la decisione della Corte la presidentessa eletta nel 2012 è stata privata dell'immunità e dovrà rispondere in tribunale delle accuse di estorsione, corruzione, abuso di potere e diffusione di segreti di Stato. Secondo gli inquirenti Park Geun-hye avrebbe favorito l'amica e confidente Choi Soon-sil introducendola di fatto nell'amministrazione del potere. Non solo, la presidentessa avrebbe fatto pressioni sulle principali imprese coreane affinché facessero copiose donazioni (circa 66 milioni di euro) a favore di due fondazioni sportive create da Choi Soon-sil.

Lo scandalo viene da lontano. Protagonisti una setta religiosa che assomiglia a un'associazione a delinquere, la Chiesa della vita eterna, e la famiglia presidenziale. Figlia del ex presidente coreano Park Chung-hee al potere dopo un colpo di Stato dal 1962 al 1979 , la giovane Park è da sempre legata alla famiglia di Choi Soon-sil. Il padre di questa, Choi Tae-min, è stato per anni la guida spirituale dell'ex presidentessa. Monaco buddista convertito al cattolicesimo, ex agente di polizia sposato per sei volte, Choi Tae-min era il fondatore di una chiesa che mischia sciamanesimo, buddismo e cattolicesimo. Deceduto nel 1994, si era legato alla giovane Park dopo la morte della madre di lei, assassinata nel 1974 da un simpatizzante della Corea del Nord. Secondo l'intelligence sudcoreana, Choi si era avvicinato a Park dicendole che la madre gli era apparsa in sogno e gli aveva chiesto di aiutarla. Sfruttando la debolezza della 22enne Park, ne divenne mentore e forse qualcosa di più: circolano voci che la presidentessa abbia avuto un figlio da Choi stesso. Kim Jae-gyu, direttore dei servizi segreti coreani e assassino nel 1979 del presidente Park Chung-hee, raccontò in tribunale che decise di ucciderlo per la sua palese incapacità a fermare le attività di Choi e di tenerlo lontano da sua figlia. Secondo dei cablogrammi dell'ambasciata americana a Seul resi pubblici da Wikileaks, Choi Tae-min «ebbe il completo controllo sul corpo e sull'anima di Park durante i suoi anni formativi».

Ma da oggi tutto questo è il passato. Ora il primo ministro Hwang Kyo-ahn deve stabilire la data delle elezioni presidenziali, verosimilmente l'ultima utile: il 9 maggio. Secondo i sondaggi il progressista Moon Jae-in, che nel 2012 aveva perso le elezioni contro Park, è il favorito. Il candidato del Partito Democratico Unito si è schierato per il dialogo con la Corea del Nord, in aperto contrasto con la linea dura portata avanti da Park.

E si è detto pronto a riconsiderare il programma anti-missile Thaad, che prevede il dispiegamento nel sud-ovest del Paese di radar e batterie americane. Un programma criticato da Pechino che per bocca del suo ministro degli Esteri Wang Yi ha minacciato la Corea del Sud nel caso installasse il sistema.

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