Speranze per la sorte dell'italiano rapito nelle Filippine

Sei mesi fa è stato sequestrato nelle Filippine l’ex missionario Rolando Del Torchio. Secondo le fonti che Il Giornale ha raccolto sul posto, l’italiano sarebbe vivo e si troverebbe insieme ad altri ostaggi nella roccaforte dei tagliagole di Abu Sayyaf

Rolando Del Torchio, l'ex missionario italiano rapito nel sud delle Filippine
Rolando Del Torchio, l'ex missionario italiano rapito nel sud delle Filippine

ZAMBOANGA CITY – Sono passati esattamente sei mesi da quando Rolando Del Torchio - ex missionario italiano del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), arrivato nelle Filippine nel 1988 - è stato rapito all’interno del suo ristorante a Dipolog City, capoluogo della provincia di Zamboanga del Nord, nel sud del Paese. Sono circa le sette di sera del sette ottobre del 2015, quando un gruppo di almeno sei uomini armati entra nel locale. Altri quattro sono già all’interno. Sembrano clienti normali. Ma all’improvviso si alzano e fanno partire l’agguato.

Nel video - catturato dalle telecamere di sorveglianza posizionate nel ristorante - si vede il gruppo mentre, con forza, prende Rolando. Un’azione fulminea. Il commando si fa largo tra gli avventori ed esce in pochissimo tempo. Ad aspettarli fuori c’è un furgone Mitsubishi L300 color argento, targato TMY490, che viene di lì a poco ritrovato dagli investigatori dopo essere stato abbandonato. Appartiene ad Amante Sagario, un filippino di 49 anni residente a Pagadian City. Non è ancora chiaro se il proprietario del furgone sia coinvolto nel rapimento o se sia anche lui una vittima del gruppo armato che, in precedenza, potrebbe avergli rubato il veicolo. Quello che si sa per certo è che le telecamere del ristorante hanno immortalato Saher Muloc, più conosciuto con il suo soprannome: Commander Red Eye. È il leader di una banda criminale che opera nella zona e che, già nel 2014, era stato arrestato - e poi rilasciato dopo il pagamento della cauzione - per un sequestro.

Il gruppo di Muloc - a cui sembrerebbe appartengano anche diversi combattenti scissionisti del Moro Islamic Liberation Front (Milf) e Moro National Liberation Front (Mnlf), i due principali gruppi di ribelli islamici che operano nella regione e che da decenni richiedono l’autonomia - ha stretti contatti con i terroristi di Abu Sayyaf Group (Asg). Questa organizzazione, fondata alla fine degli anni Ottanta da Abdurajik Janjalani, grazie al finanziamento di sei milioni di dollari fatto da Osama Bin Laden ed inizialmente vicina ad Al Qaeda, nell’ultimo periodo si è legata ai tagliagole dello Stato Islamico. Secondo le informazioni che ci sono, Rolando Del Torchio sarebbe stato successivamente ceduto – o venduto – proprio ai fondamentalisti di questo gruppo.

«È Abu Sayyaf che ha in mano Rolando», mi dice una persona informata sui fatti che sta seguendo le indagini sul rapimento dell’italiano e che, per ragioni di sicurezza, vuole restare anonimo. «Secondo le mie informazioni è ancora vivo e si trova nell’isola di Jolo, ma non posso dirti altro». Quest’isola - la più grande dell’arcipelago delle isole Sulu, tra Mindanao e il Borneo - che dista quasi 400 chilometri dal luogo del rapimento, è una delle roccaforti del gruppo fondamentalista, insieme a quelle di Tawi Tawi e Basilan. Gran parte di Jolo è quasi impenetrabile: la fitta vegetazione e la popolazione, spesso complice dei jihadisti, rendono le ricerche molto difficili.

La versione secondo la quale Rolando si troverebbe proprio in quest’isola, mi viene confermata indirettamente anche da un ribelle musulmano che incontro nella città di Cotabato. Appartiene al Milf ma il suo gruppo - che negli ultimi anni è in trattativa per un accordo di pace con il governo di Manila - è bene precisarlo, non è coinvolto con il rapimento dell’ex missionario. Alle mie domande sul sequestro risponde sempre vagamente. Ma, quando gli riferisco delle informazioni in mio possesso, annuisce e conferma: «Sei molto informato. È molto probabile che sia lì, assieme agli altri stranieri rapiti». Già, perché Rolando Del Torchio non è il primo straniero rapito nel Mindanao. In questa regione a maggioranza musulmana, martoriata da decenni di scontri, attualmente sono in mano di Abu Sayyaf anche due cittadini canadesi, John Ridsel e Robert Hall e il norvegese Kjartan Sekkingstad, per il rilascio dei quali sono stati recentemente chiesti, attraverso un video diffuso su internet in un sito jihadista, tre miliardi di pesos, ovvero venti milioni di euro per ogni ostaggio. In passato, sempre la stessa organizzazione fondamentalista aveva rapito anche un cittadino svizzero, due americani, due tedeschi e un australiano.

Lo Stato Islamico, insomma, ha fatto scuola anche nel sud delle Filippine. Dove il modus operandi è lo stesso attuato in Siria ed Irak.

Gli stranieri - meglio se occidentali e cristiani - vengono rapiti per finanziare quella che secondo loro è la lotta divina contro gli infedeli. E se il riscatto non arriva, o qualcosa va storto, gli ostaggi rischiano di morire. Come è successo recentemente ad un cittadino malese rapito nel maggio scorso e ritrovato decapitato dopo una trattativa finita male.

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