Sono parole quasi di circostanza quelle pronunciate dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che dopo settimane in cui tutti, dalla collega Malala in poi, le hanno rinfacciato il silenzio su quanto sta accadendo in Myanmar, ora si decide a parlare della crisi in atto e lo fa con parole che rispondono a malapena alle accuse di "pulizia etnica" arrivate dalle Nazioni Unite.
Si dice "profondamente desolata" la Suu Kyi e condanna "tutte le violazioni dei diritti umani". Poi sostiene che "le forze di sicurezza hanno ricevuto istruzioni di prendere tutte le misure per evitare danni collaterale e affinché i civili non siano feriti".
La leader del Paese si è detta pronta a garantire il rientro dei profughi, ma le sue parole raccontano a stento quanto sta accadendo nello Stato di Rakhine, da cui a migliaia gli appartenenti alla minoranza musulmana Rohingya sono fuggiti verso il confine con il Bangladesh, tra notizie di violazioni dei diritti umani e di tiri d'artiglieria che hanno preso di mira anche i civili durante le operazioni anti-terrorismo contro le milizie dell'Arsa che
hanno preso di mira esercito e polizia il 25 agosto scorso.Le parole della Suu Kyi non convincono però gli osservatori internazionali. Chiarissima la risposta di Amnesty International: "Pratica la politica dello struzzo".
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