Nazionalismo economico e fine delle politiche di libero scambio. Il nuovo protezionismo di Donald Trump, da lui proclamato più volte nel corso della campagna elettorale, ha orientato verso il magnate repubblicano i voti degli elettori della classe operaia, che in questi anni hanno visto i loro posti di lavoro scomparire nel quadro di un'economia Usa sempre più globalizzata. Ma è anche diventato lo spettro che agita i mercati mondiali: in ballo ci sono il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) con l'Europa, che rischia lo stallo a tempo indeterminato, così come il Nafta (North american free trade agreement), minacciato dalla proposta di penalizzare le compagnie Usa che delocalizzano in Messico, ma c'è anche la minaccia di ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal Wto (World trade organization).
Trump in campagna elettorale ha messo da parte la classica ortodossia liberista di lunga data dei repubblicani Usa e ha promesso di respingere nuovi accordi di libero scambio e di voler rinegoziare quelli in essere, a vantaggio dei lavoratori americani. In fibrillazione ci sono anche gli accordi commerciali con la Corea del sud e quelli con i paesi dell'area del Pacifico, mentre durissimo è stato l'attacco di Trump alle politiche commerciali e valutarie della Cina, con Pechino accusata di manipolare la propria valuta.
In varie occasioni Trump ha parlato con nostalgia di un ritorno a una politica economica di stile mercantilista e ha ricordato gli inizi della storia americana: "La nostra Costituzione in origine - ha ricordato in campagna elettorale - non aveva nemmeno una tassa sul reddito, mentre tassava la produzione non domestica. Oggi, 240 anni dopo l'indipendenza, abbiamo trasformato le cose capovolgendole completamente". Le sue prese di posizione avevano suscitato l'ironia di Hillary Clinton che su Twitter aveva parlato delle camicie firmate di Trump prodotte in Bangladesh, ma soprattutto destato l'allarme della United States Chamber of Commerce, secondo cui il suo approccio costerebbe 3,5 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti, oltre all'"aumento dei prezzi in un'economia decisamente più debole". Netta la contrarietà dei sindacati, smentiti però dal voto dei 'blue collars'.
Il presidente AFL-CIO (American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations), Richard Trumka, attaccava: Trump "ha personalmente tratto profitto dal Nafta, delocalizzando posti di lavoro americani all'estero solo per riempire le proprie tasche...".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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