"Il velo in campo? Un diritto". Se i macronisti difendono l'islamizzazione dello sport

È polemica in Francia per la bocciatura da parte dei deputati del partito di Macron di un emendamento presentato dai Républicains per vietare il velo nelle competizioni sportive. E nel Paese monta la protesta delle Hijabeuses

"Il velo in campo? Un diritto". Se i macronisti difendono l'islamizzazione dello sport

La lotta al separatismo di Emmanuel Macron si è fermata sul campo da calcio. È questa l’accusa che da settimane parte dell’opinione pubblica francese muove al suo presidente. Nel mirino c’è la bocciatura all’Assemblée Nationale di un emendamento dei Républicains per chiedere di vietare "simboli o indumenti" che ostentino la propria appartenenza religiosa durante le manifestazioni sportive, approvato al Senato lo scorso 19 gennaio.

Per il promotore della misura, il senatore repubblicano Michel Savin, intervistato di recente da La Stampa, il velo rappresenta un simbolo controverso, spesso imposto alle donne e alle bambine contro la propria volontà. Per questo bisogna far sì che "il campo dove ci si affronta sportivamente non diventi un luogo dove s' impongono fedi religiose o idee politiche". Il principio è quello della laicità che permea le istituzioni francesi e che secondo la destra gollista dovrebbe essere rispettata anche nello sport.

Ma la decisione ha provocato la rivolta di un gruppo di atlete musulmane, le Hijabeuses, che hanno lanciato una mobilitazione per chiedere il ritiro del provvedimento e rivendicare il proprio diritto di poter indossare il velo durante le partite di calcio ufficiali, come succede dal 2014 a livello internazionale, dopo il via libera della Fifa. "Che cos'hanno contro il mio velo e contro la mia libertà di credere e scegliere?", si legge in un appello lanciato ai parlamentari dell'Assemblée Nationale, chiamati ad esprimersi sul provvedimento. E ancora: "Perché devo essere costretta a scegliere tra il mio credo religioso e il mio desiderio di essere un'atleta".

Tra le prime a raccogliere il grido delle calciatrici velate c'è stata la ministra delle Pari Opportunità del governo francese, Élisabeth Moreno, che ha difeso "il diritto a portare il velo per giocare". "Sostengo la possibilità per le ragazze di fare sport senza essere discriminate – ha aggiunto, citata da Le Figaro – la legge dice che queste giovani possono portare il velo e giocare a calcio". E alla fine come lei si è espressa anche la maggioranza dei deputati macronisti, rigettando l'emendamento proposto dalla destra.

A dire il vero, però, la decisione non è stata univoca. Anche nella stessa maggioranza, infatti, sembra esserci un dibattito aperto tra i sostenitori di una laicità dai confini più ampi e gli intransigenti. Rientrano in questa categoria i sei deputati della Republique en Marche non hanno seguito le indicazioni di voto arrivate dal partito. "La religione non ha niente a che vedere con lo sport", ha spiegato nell’emiciclo Aurore Bergé, parlamentare di Lrm. Ma è significativo che anche due ministri, Bruno Le Maire e Marlène Schiappa, si siano dichiarati favorevoli al divieto di esporre simboli religiosi durante le partite di calcio e in generale in tutte le competizioni sportive, dissentendo dalla collega Moreno.

Intanto l’opinione pubblica si divide tra chi grida al razzismo – è di qualche settimana fa l’appello di 50 sportivi tra cui Eric Cantona e Lilian Thuram a sostegno delle Hijabeuses– e chi chiede al governo di prendere posizione per non lasciare sole le federazioni sportive che promuovono la "neutralità ideologica". Il sito di informazione Causeurs, ad esempio, accusa i macronisti di voler "proteggere l’islamizzazione dello sport anziché proteggere lo sport dall’islamizzazione", strizzando l’occhio ai "movimenti sempre più virulenti delle Hijabeuses, che vogliono esibire il loro stendardo islamista ovunque e in qualsiasi circostanza".

Il velo, si legge ancora sul sito del mensile fondato dalla giornalista francese Élisabeth Lévy, non è un semplice "indumento ma un segno ostentato di supporto a un'ideologia militante e portatrice di un progetto di società profondamente malsano, che rifiuta l'uguaglianza dei diritti civili tra uomini e donne, tra musulmani e non musulmani, che rifiuta la libertà di coscienza, la libertà di pensiero, la libertà d'espressione". "E pensare – attacca ancora la rivista - che alcuni credono ancora, contro ogni evidenza, che Macron sia pronto a difendere la Repubblica e la laicità dall'islamismo".

"L'emendamento dei senatori Lr era più che benvenuto, perché avrebbe permesso di sottolineare in maniera chiara la nostra determinazione collettiva a rifiutare che gli islamisti continuino a

infiltrarsi negli ambienti sportivi per indottrinare i giovani e diffondere il loro veleno ideologico", continua l’articolo, che denuncia come ormai chi critica l’Islam in Francia abbia bisogno di essere messo sotto scorta.

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