Venezuela, secondo mandato per Maduro: ma il caudillo è isolato

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha giurato per un secondo mandato in una cerimonia disertata da gran parte della comunità internazionale. Per Usa e Brasile la nomina è "illegittima". Proteste nell'ambasciata venezuelana in Perù

Venezuela, secondo mandato per Maduro: ma il caudillo è isolato

Di rappresentanti della comunità internazionale, alla cerimonia di reinsediamento non c'era praticamente nessuno. Né l'Unione europea, né gran parte dei Paesi dell'America Latina. Nicolas Maduro, che ha giurato per un secondo mandato di sei anni "nel nome del popolo venezuelano" e "sulla mia vita", è un leader rinchiuso nel bunker. L'erede del "Comandante "Hugo Chavez, nel discorso post giuramento, ha promesso di difendere "l'indipendenza e l'integrità della patria" e di lavorare per la sua prosperità. Ma è sempre più isolato. Il popolo non è più con lui, idem il Parlamento finito nelle mani dell'opposizione. Tanto che Maduro ha ricevuto la fascia presidenziale da parte del presidente del Tribunale Supremo di Giustizia e non nell'Assemblea Nazionale, come vorrebbe la prassi.

Erano 100 le delegazioni invitate alla cerimonia. Poche quelle presenti. C'erano i presidenti di Bolivia, Evo Morales; Nicaragua, Daniel Ortega; Cuba, Miguel Dìaz-Canel; El Salvador, Salvador Sànchez Cerèn; e dell'Ossezia del Sud (non riconosciuta dall'Onu), Anatoli Bibìlov. Per la Turchia, non il presidente Tayyip Erdogan bensì il suo vice Fuat Oktay. L'America Latina ha disertato quasi al completo. Già si sapeva, visto che qualche giorno prima del giuramenti i 13 Paesi riuniti nel Gruppo di Lima (Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay, Perù e Saint Lucia) avevano annunciato che non avrebbero riconosciuto la legittimità del nuovo mandato del presidente del Venezuela. Scontate le defezioni di Colombia - dopo che Maduro aveva accusato il presidente colombiano Ivan Duque di complottare con Trump per ucciderlo - Ecuador, che ha richiamato il proprio ambasciatore in Venezuela, e Perù, che ha vietato l'ingresso nel Paese a molti esponenti del governo Maduro.

Proprio in Perù, nelle ore successive al giuramento del caudillo, una ventina di venezuelani hanno fatto irruzione dentro l'ambasciata venezuelana a Lima per protestare contro la rielezione di Maduro. La polizia locale è intervenuta con i lacrimogeni per sedare le proteste dei manifestanti anti-chavisti. "Maduro non è il nostro presidente, è un dittatore comunista ed è giusto che facciamo sentire la nostra voce", ha detto all'agenzia Afp Julieta Garcia, una cittadina venezuelana fuggita in Perù nove mesi fa. "È una vergogna vedere ancora al potere l'uomo che ha distrutto il nostro Paese e resta in piedi solo grazie al sostegno dei militari", ha aggiunto la donna davanti all'ambasciata venezuelana. Che, su Twitter, ha diffuso le immagini girate dalle telecamere di sorveglianza dove si vedono una ventina di persone fare irruzione negli uffici dell'ambasciata forzando la porta d'ingresso.

Noti i motivi dietro a queste proteste. Maduro, diventato per la prima volta presidente del Venezuela nel 2013 dopo la morte di Chavez, è stato confermato presidente dalle elezioni-farsa del 20 maggio 2018. A partire dal 2014, oltre 12.800 persone sono state arrestate nel Paese per le manifestazioni contro il governo, mentre la ong Human Rights Watch ha denunciato centinaia di casi di maltrattamenti ai danni di oppositori, compresi 31 casi di tortura.

Il Paese vive da tempo una gravissima recessione dovuta al crollo del prezzo del petrolio di cui è uno dei maggiori produttori al mondo. Nel 2017 si è arrivati a toccare un'inflazione del milione per cento. Il costo della vita è insostenibile, i beni alimentari scarseggiano e un abitante su tre è sottopeso. Già 3 milioni le persone fuggite all'estero.

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