La speranza lascia spazio allo smarrimento. Alla disperazione. Alla paura. Sono passati ormai 40 giorni da quando l'ultimo volo per l'Italia ha staccato le ruote dall'asfalto dell'aeroporto di Kabul, portando con sé gli interpreti e i collaboratori che in questi anni hanno lavorato con il nostro esercito. Giorni storici, forse epici, quelli dal 15 al 26 agosto. Giorni in cui l'attenzione di tutto il mondo era concentrata su quel fazzoletto di terra che compone l'aeroporto Hamid Karzai. Poi una bomba dello Stato islamico ha spazzato via tutto. Non solo i corpi di chi in quell'esplosione ci è finito, ma anche le speranze di chi è rimasto a terra. Tutto finito. Non c'era più niente da fare. Non era più possibile garantire la sicurezza dell'aeroporto e, quindi, l'evacuazione. Bisognava lasciare in fretta e furia l'Afghanistan, che si è dimostrato essere, ancora una volta, la tomba degli imperi.
L'attentato dello Stato islamico ha accelerato le lancette dell'orologio e, paradossalmente, lo ha portato indietro di vent'anni: i talebani sono tornati al potere e stanno cercando coloro che hanno collaborato con i Paesi occidentali. Nel caso in cui non si dovessero presentare, le loro famiglie saranno sottoposte a "punizioni severe", come riporta la Bbc. "Ieri un mio collega di nome Mehrabbuddin è stato giustiziato dai talebani alla periferia di Kabul", ci scrive un interprete di cui non possiamo rivelare il nome per motivi di sicurezza. "Mi trovo in pericolo, l'Italia faccia qualcosa". Ed è proprio questo il punto. La lamentela più ricorrente da parte dei collaboratori afghani è che tutto si sia bloccato e che Roma li abbia abbandonati al loro destino. "Vi abbiamo aiutato per vent'anni e ora ci lasciate qui", lamentano i collaboratori. E questo nonostante le mail standardizzate inviate dalla Difesa: "Sebbene l’attuale situazione contingente non permetta il nostro supporto diretto per raggiungere l'Italia la Sua richiesta non resterà inascoltata. Faremo tutto ciò che sarà nelle nostre possibilità per agevolare il Suo arrivo nel nostro Paese non appena le condizioni lo consentiranno. La invitiamo pertanto a mantenere i contatti tramite l’indirizzo mail dell’Unità di Crisi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale unita.crisi@esteri.it". Il tempo e pare che gli interpreti non verranno evacuati in fretta. Anzi.
Un gruppo di interpreti, che per anni ha servito le nostre forze, lancia un appello disperato all'Italia: "Abbiamo servito le forze italiane con onestà, sincerità e altruismo in condizioni molto dure. Nonostante le minacce potenziali e reali dei talebani, dell'Isis e da altri gruppi ribelli, tanto che alcuni di noi sono sopravvissuti miracolosamente a parecchie autobombe, ordigni piazzati sul ciglio della strada, attacchi suicidi e agguati, nonché scontri tra gruppi di insorti e forze Nato sia sul posto che in missioni di combattimento. Eravamo e siamo molto più vulnerabili delle forze della Nato perché viviamo qui in Afghanistan da quando abbiamo iniziato a lavorare con voi. Inoltre tutti i gruppi di insorti ci considerano traditori e infedeli solo perché abbiamo lavorato per voi. Non solo abbiamo rischiato la vita lavorando per le forze della Nato, ma abbiamo anche disonorato noi stessi nella società afghana primitiva e tradizionale nella misura in cui non possiamo più fonderci con la nostra società, che ora ci lascia disoccupati e isolati. Pertanto, ci aspettiamo che le forze della Nato in generale e le forze italiane in particolare non ci lascino soli e vengano in nostro soccorso prima che sia troppo tardi".
Sono nascosto e sono già venuti a cercarmi. Non so più cosa fare", racconta un altro interprete. H., noto per aver sventato un attentato contro le truppe italiane e per questo decorato, dopo esser arrivato in aeroporto è rimasto ferito al collo durante l'attentato del 26 agosto scorso. Anche lui lasciato indietro e ora in balia degli eventi. N., invece, continua a coltivare la speranza. Nonostante tutto: "Gli italiani ci hanno aiutato per un Afghanistan migliore, era un nostro dovere assisterli. Non dimenticheremo mai quello che hanno fatto per noi. Ci hanno educato e aperto al mondo. Ora però sono arrivati i talebani e tutto è cambiato". Nel 2001, quando è iniziata la guerra, N. aveva solo quattro anni: "Quando tutti le bambine della mia età giocavano con le loro bambole, ero spaventata e piangevo negli scantinati bui e angusti. Ero nel mezzo dei bombardamenti che gli Stati Uniti avevano organizzato per eliminare Al Qaeda e i talebani. Ho sperimentato la morte, abbandonata in luoghi che erano tombe". Nonostante la guerra, N. aveva una speranza: "Mi aspettava un futuro luminoso, qualcosa di cui mia madre e molte donne e ragazze come lei sono state private. Ricordo che, a differenza di molti altri bambini, non avevo alcun interesse per i giocattoli e passavo tutte le mie giornate a fare disegni e scarabocchi. La mia famiglia sapeva del mio talento e mi ha iscritto a scuola quando avevo cinque anni. A differenza di altri uomini fanatici, mio padre era molto contento che io e mia sorella potessimo studiare. Era anche consapevole del grande interesse di mia madre per l'istruzione e l'ha incoraggiata a continuare i suoi studi (come molte altre donne, le era stato negato il diritto allo studio durante l'era dei talebani ed era stata costretta a sposarsi a 14 anni".
Le tre donne della famiglia si mettono quindi sui banchi e risultano tra le migliori dei loro corsi. N. ha iniziato così gli studi in medicina e le immagini che ci manda la mostrano in camice verde, intenta ad operare. Ma ora non può più fare nulla di tutto questo: "Tutto ciò che possiamo fare in questi giorni è nasconderci, lottare per la sopravvivenza e trascorrere le nostre giornate in una stanza con i ricordi del passato. Non so quanto possiamo durare così. Tutto quello che so è che in questi giorni non riesco più a respirare senza il mio spray per inalazione perché la mia asma ha raggiunto il picco a causa di stress e paura.
C'è qualcuno che può darci una mano per tirarci fuori da questa miseria? Il tempo stringe. È come se stessimo aspettando che i talebani bussino alla nostra porta per porre fine alle nostre vite. Qualcuno ci salvi prima che questa voce venga messa a tacere insieme a tutte le nostre speranze".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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