La "Montagna" è "incantata" anche a teatro

Il capolavoro di Mann, del quale ricorre il 150º anniversario della nascita e il 70º della morte

La "Montagna" è "incantata" anche a teatro
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Gli anniversari ci sono per sollecitare i ritorni, le rivisitazioni e per strapparci dall'immediato e ricordarci i fondali della nostra storia culturale, che sono quelli del Novecento, caratterizzato dalle immani tragedie delle guerre, nonché dai giganti della cultura, tra cui Marconi, Freud, Einstein, Fermi, Kafka, Joyce, Picasso, Thomas Mann. E di Mann (1875-1955) ricorre il 150º anniversario della nascita e il 70º della morte. Occasioni preziose per riavvicinarci a lui tanto più che in Italia - e solo da noi - è in atto un esperimento unico: la messa in scena di La montagna incantata, la sua opera-mondo.

Tutto cominciò un paio di anni fa a opera di una compagnia coraggiosa e rigorosa, Archivio Zeta, che scelse il suggestivo Cimitero Monumentale del Passo della Futa, tra Firenze e Bologna, per scalare un testo impervio per ironia e per asprezza concettuale, con i suoi dialoghi immensi sul tempo e sulla morte. La montagna appenninica e il cimitero militare piegarono un testo apparentemente irrappresentabile. Ora l'operazione viene ripetuta a Bologna, al Teatro Arena del Sole, il 22 e 23 marzo. La rappresentazione sfiora le sette ore. E il romanzo le vale tutte e sette, così come il 16 giugno a Dublino viene letto per tutto il giorno l'Ulysses di Joyce. Il tema della Montagna incantata è simbolo del destino nella considerazione del tempo che è possibile comprendere solo fuori dal tempo, dalla frenesia delle metropoli, per esempio sulle Alpi, in un lontano sanatorio elvetico, nel silenzio, nella solitudine, persino nella nevicata che a un certo punto attenta alla vita del giovane protagonista che incautamente si trova al centro della tormenta. Proprio in quell'esperienza il giovane comprende quanto gli sia cara la vita. E non era scontato, nell'epoca della decadenza e del decadentismo. Non a caso il romanzo nasce come pendant di La morte a Venezia, quale singolare, ancorché assai problematico inno alla vita, che si smarrisce e si ritrova in un itinerario iniziatico di sette anni. Ma l'iniziazione non è una meta conquistata per sempre.

La prova resta aperta: anzi la discesa del giovane Hans Castorp dall'elegante clinica per combattere nella Grande Guerra pare contraddire le intuizioni delle infinite conversazioni coi sapienti e alquanto singolari abitanti del sanatorio e con le considerazioni solitarie sul ciglio dell'impermanenza. Castorp termina il suo itinerario di formazione al fronte.

Coi tempi che corrono è un finale di grande impatto emotivo, che conferma che dopo tanti decenni Thomas Mann resta a sorpresa più che mai attuale.

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