Montanelli su Mattei: scrisse «corruttore» e il corruttore tacque

Gentile signor Granzotto, vorrei dire la mia alla sua risposta data al lettore Edoardo Musicò («Il vero e verosimile di Montanelli»). Anzitutto parlare di Montanelli come storico non è esatto. È stato un buon divulgatore storico. Questo sì. Ma parlare di «infallibile» e «da essere invidiato da docenti universitari» (ma quali poi? I ciucci post ’68?) è un po’ troppo. Veniamo al Montanelli giornalista. Io credo che anche qui avete esagerato sul «principe dei giornalisti», «maestro» eccetera. Mah?! Io ho letto Montanelli e posso dire che Montanelli è stato un giornalista che scriveva in un italiano delizioso. Bellissimo da leggere. Ma niente di più. I «principi» sono stati ben altri, gente come Luigi Barzini e Sandro Sandri. E soprattutto Benito Mussolini (lo stesso Montanelli gli si riconosceva inferiore). L’unica volta che ha voluto fare il giornalista sul serio (nel senso di informare seriamente) ha fatto solo danni all’Italia. Con la sua sciagurata e vile inchiesta su Enrico Mattei (l’unico manager di Stato che l’Italia repubblicana abbia mai avuto) ha contribuito (pur indirettamente) all’assassinio di lui (Mattei) e alla rovina economica dell’Italia. E fece sempre finta di credere a una morte accidentale di Mattei, denigrando chi sosteneva con fatti precisi che Mattei era stato assassinato (come è stato ben provato anche dalla magistratura non molti anni fa). Avrei tantissimo ancora da dire. Ma non vorrei infrangere il quieto vivere dei montanelliani. So che questa mia la farà adirare, caro Granzotto, e me ne duole, ma certe cose è ora che si sappiano.

Montanelli addirittura mandante o ispiratore della morte di Enrico Mattei! Montanelli che concorre alla rovina economica dell’Italia! Non è che sta esagerando, caro Croce? Ma andiamo con ordine: non ho mai scritto che Indro fosse invidiato dagli storici cattedratici, ma avrei potuto farlo. Gli invidiavano il successo, espresso nei milioni di copie vendute dei suoi libri. Rispetto alle poche migliaia dei loro. Di più: lo detestavano per aver mostrato che si può scrivere di storia in un italiano che sia comprensibile, alla portata di tutti. Quando i loro, di libri, erano e sono scritti in «professorese», linguaggio ostico, ermetico e appesantito a dismisura da un diluvio di note a pié di pagina. E poi guardi che quando Montanelli si dedicò alla sua «Storia d’Italia», i «ciucci» post Sessantotto ai quali si riferisce erano ancora in fasce. E resta comunque il fatto che nessuno dei professoroni pre Sessantotto colse mai in fallo Montanelli (se poi lei avesse la gentilezza di spiegarmi cosa intende per «storico» e perché a suo giudizio Montanelli non sarebbe uno «storico», le sarei grato). L’inchiesta su Mattei: quando gli consegnò i cinque articoli che la componevano (frutto di ricerche, colloqui, sopralluoghi durati tre mesi), Montanelli disse al direttore del Corriere, Alfio Russo: «Prima di pubblicarli chiedi alla proprietà se è disposta a perdere i 700 milioni – settecento milioni del 1962 – di pubblicità annuale dell’Eni». Russo chiese e la proprietà rispose. Di sì. E secondo lei anche i Crespi pre-zarina complottarono per mandar in rovina l’Italia? Si ricordi che l’accusa mossa da Montanelli a Mattei era, in sostanza, di essere un «corruttore incorruttibile». Personalmente al di sopra d’ogni sospetto – scrisse - «finanzia in toto la Democrazia cristiana, ma anche gli altri partiti e non solo di sinistra».

Accusa alla quale Mattei non seppe, nella lunga lettera di replica dove definiva Montanelli un «catone locale», rispondere. Non le pare fuor di luogo, caro Croce, affermare che Montanelli portò alla rovina l’Italia per avere denunciato quella corruzione che è invece una delle cause preminenti del malessere del nostro Paese?

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