Morto Pagliarani, poeta sperimentale

L’ultima volta che vidi Elio Pagliarani (scomparso ieri all’età di 85 anni) fu a Palermo durante un premio Mondello. Scoprii che leggeva molto bene le proprie poesie: con voce bassa e insieme tonante, con enfasi espressiva in cui affiorava lo spirito della sua terra d’origine, la Romagna. Ci trovammo a tavola insieme. Ebbi qualche imbarazzo, per alcune vecchie polemiche. Ma la conversazione fu quieta, quasi piacevole.
Pagliarani, nato a Viserba nel 1927, esordì negli anni Cinquanta, quando già si era trasferito a Milano, pubblicando due raccolte di poesia, Cronache e Inventario privato. Più sperimentale la prima, più risolta in una specie di realismo lirico la seconda, dove si leggono versi come: «È difficile amare in primavere/ come questa che a Brera i contatori/ Geiger denunciano carica di pioggia/ radioattiva...». Tra Brecht e linea lombarda. Poi Pagliarani si trasferì a Roma, e nel ’62 pubblicò La ragazza Carla. È il suo primo successo e il titolo a cui affida la propria fama. La ragazza Carla dà voce a una dattilografa ancora minorenne che affronta la vita familiare e di lavoro a Milano, sullo sfondo della campagna elettorale del ’48. «Quante parole nei comizi e folla/ nel marzo quarantotto!». Carla, che per età non può ancora votare, vive da sfruttata in un ufficio dove c’è sempre qualcuno che la guarda con «occhi acquosi» e le si avvicina sino a farle sentire l’odore del proprio sudore. Lei ne parla alla madre, piange, non vuole più andare a lavorare, vorrebbe fuggire da quella vita. Vicino a lei è il giovane Aldo, disoccupato e arrabbiato. I paesaggi sono quelli intorno a Piazzale Lodi, con i garzoni che urlano «bela tusa» e intonano stornelli di Porta Romana. Ma nel poemetto non ci sono concessioni al colore. C’è un realismo solido, un impianto narrativo severo, la presenza di un filtro ideologico marxista molto forte.
Un autore che dunque avresti detto vicino a Pasolini e a Fortini, entra invece nella famosa antologia dei Novissimi, e diventa uno dei poeti importanti della Neoavanguardia, con Sanguineti, Giuliani, Porta e Balestrini, egemoni per tutti gli anni ’60. Da quel momento comincia per Pagliarani una fase lunghissima di attività in cui una pratica neoavanguardistica, coerente sino a essere pedissequa, funziona da diga contro la sua prima ispirazione, quella più forte e autentica. Libri come Lezione di fisica o Lezione di fisica e Fecaloro non aggiungono nulla al loro autore, e anzi rischiano di togliergli qualcosa.

Dopo molti anni torna al poema narrativo con La ballata di Rudi (’95). Ma Pagliarani resta l’autore di un ritratto di vita metropolitana robusto e intenso, sociale e umano, ed è con quello che oggi mi piace ricordarlo e salutarlo.

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