Alla Mostra del Cinema non mancano mai le polemiche. Stavolta, non è un'eccezione. L'attacco viene dal napoletano Antonio Capuano, al Lido per presentare il suo ultimo lavoro, selezionato nelle Giornate degli Autori:« L'amore buio».
Il film, che è stato presentato alla Mostra di Venezia e sarà in sala dal 3 settembre distribuito da Fandango in 25 copie, è una storia «di violenza e rinascita, nata da un fatto vero».
Ma la vetrina della sezione collaterale non soddisfa il regista partenopeo, che non usa mezzi termini: «Con Venezia ho un conto aperto dai tempi de "La guerra di Mario" (2005, ndr), che non venne minimamente considerato. Poi da spettatore mi accorsi che altri film italiani scelti al posto di quello non erano molto più belli. Anche stavolta, con "L'amore buio", la selezione ufficiale del Festival mi ha snobbato: credo la gestione della Mostra soffra di incompetenza e insensibilità. devo pensare che Mueller e i suoi selezionatori siano gente priva di sensibilità o che non capisce nu ca..o». Tanto, per essere chiari.
Capuano racconta che tempo fa ha realizzato un film «nascosto, di cui neanche voglio dire il titolo», che mandò ai vari festival italiani, da Venezia a Roma, passando per Torino, ma non avendo una produzione dietro e nessuna distribuzione non ottenne alcuna risposta.
«Questa è la situazione culturale di questo paese -dice il regista- allo sbando da quando è morto Pasolini, che probabilmente oggi come oggi nessuno si filerebbe neanche: e i film senza "accompagno" sono come i bambini di talento che vivono in mezzo alla strada, senza una famiglia dietro, si perdono per sempre».
In questo caso, però, «L'amore buio», è prodotto da Rai Cinema con il contributo del ministero, e Capuano precisa di non aver avuto nessun problema con la produzione, Fandango, «anche se in più di un'occasione ci confrontavamo su cose che io però, purtroppo, spiegavo loro di non essere in grado di fare».
Capuano indaga, ancora una volta, la realtà degli adolescenti napoletani, come aveva già fatto in «La guerra di Mario» e in «Pianese Nunzio», film che 14 anni fa, segnò in qualche modo la nascita del suo ultimo lavoro.
La storia, spiega il regista, è quella vera di un certo Lello, che proprio durante la lavorazione di «Pianese» gli confidò di aver violentato da adolescente una ragazza della Napoli bene. Poi, proprio come nel film, iniziò a scriverle dal carcere, in un primo momento senza ricevere alcuna risposta, poi stabilendo con lei un legame che li portò addirittura a sposarsi: i genitori di lei non erano d'accordo all'inizio, ma adesso lui lavora nell'industria del padre della moglie.
Capuano ammette che il film è «forse uno dei miei più speranzosi, ma non poteva contraddire altre scelte basate sulla volontà di raccontare una storia di perdono, d'amore, un amore serio, per l'appunto "buio", che è molto più vero, sotterraneo, al limite dell'indicibile».
Interpretato dagli esordienti Gabriele Agrio e Irene De Angelis (Ciro ed Irene nel film), scelti dal regista uno nelle scuole della periferia napoletana, l'altra nei licei della città, «L'amore buio» vede anche la partecipazione di attori affermati come Luisa Ranieri e Corso Salani (i genitori borghesi di Irene), Valeria Golino (psicologa del carcere, imbruttita per la parte) e Fabrizio Gifuni (insegnante al laboratorio teatrale della Galleria Toledo dove studia la protagonista).
«Con Valeria c'è un rapporto che prosegue dai tempi de "La guerra di Mario" - dice Capuano- anche se all'epoca l'impatto non fu dei più morbidi, con lei che piangeva perchè diceva che nessuno l'aveva mai trattata così, mentre con Fabrizio (Gifuni, ndr) spero nasca una vera e propria collaborazione, è un attore di una bravura straordinaria e la mia idea è di fargli fare il prossimo film da protagonista».
La stima è ricambiata. «Da spettatore - racconta Gifuni- sono sempre stato appassionato del lavoro di Capuano e poter lavorare con lui è stato un grande privilegio, anche se solo per due giorni di riprese».
Ha colpito Gifuni la volontà del regista di mettere a fuoco questo percorso della protagonista femminile, «il fatto di riappropriarsi del proprio corpo attraverso il corpo stesso della città».
Una città che esplode e brucia di luce quando in scena ci sono Ciro e gli altri ragazzi di strada, mentre si ingrigisce, diventa fredda e pallida quando il racconto segue le vicende di Irene.
«Il cinema è così perchè la vita è così -commenta Capuano- Quando stai con la persona che ami c'è una luce, che cambia al mutare delle compagnie o degli avvenimenti. Poi lo ammetto, quando racconto i proletari sono più creativo, credo ci sia più vita in loro rispetto ai borghesi, poco sinceri, spesso e volentieri chiamati a condurre vite nascoste».
Nel film, dunque, si narra una storia cruda e violenta: lo stupro di gruppo su una 17 enne napoletana, dalla prospettiva della vittima, una ragazza borghese e di uno dei violentatori, il sedicenne Ciro.
Lui non sopporta il senso di colpa e si va a costituire, denunciando i complici. Il ragazzo, una volta in riformatorio a Nisida (il regista ha girato nei luoghi reali, ma non ha potuto far recitare per la tutela della privacy, i giovani detenuti, ndr), cerca un contatto con Irene, mandandole delle lettere. Lei, impegnata a dover ricostruire il rapporto con se stessa e con gli altri, a partire dai suoi genitori, dopo un iniziale rifiuto, inizia a leggerle.
Un fatto vero, come si è detto, rivelato dallo stesso protagonista al regista: « Ora - dice Capuano- sono una grande famiglia in armonia».
Per il film il regista ha scelto un finale diverso: «Ho voluto lasciare la storia aperta».
Quanto alla scelta dell'attrice che interpreta Irene, Capuano racconta di aver visto decine di ragazze, finchè lei l'ha colpito. «Ha un volto quattrocentesco e una maturità straordinaria per i suoi 17 anni. Gabriele, 15 anni, ha una purezza nello sguardo che cattura«.
I due ragazzi sono arrivati a Venezia con il regista e vivono l'esperienza del festival senza farsi travolgere: «Non credo che questo sia il mio mondo - dice Irene -.
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